Come questo sito aveva già adombrato nel post del 26 agosto 2024 “Riforma pensioni: un attacco al principio della volontarietà della previdenza complementare” e cioè che l’ipotesi di destinare obbligatoriamente nei fondi pensione il 25% del Tfr maturando poteva presentare dei profili di incostituzionalità, ora a dar mano a questa tesi interviene il prof Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Infatti egli in proposito a dichiarato: «Penso anche che abbia dei profili di incostituzionalità, perché il TFR è retribuzione differita. Di conseguenza, vedo difficile che un Ministro o un Governo possano imporre a un lavoratore dove mettere i suoi soldi. In più, perché concentrarsi su un provvedimento che riguarderebbe solo i lavoratori dipendenti e non anche gli autonomi e i liberi professionisti, che tra l’altro hanno aliquote di contribuzione più basse? Per i primi arrivano a malapena al 24%, mentre per questi ultimi difficilmente superano il 20%. I dipendenti, al contrario, sono gli unici che versano il 33%. In pratica, è un’assurdità».
“In un caso o nell’altro, però, implementare nuove misure a favore dei fondi pensione sembra essere cruciale. La previdenza pubblica è in difficoltà da anni: nel 2023 i lavoratori sono aumentati a 26,6 milioni, allentando lievemente la pressione. Ma l’età media di pensionamento troppo bassa (64,2 anni) fa presagire altri peggioramenti nel rapporto attivi/pensionati (XXIII rapporto INPS, 2024). Investire in previdenza complementare è dunque una scelta prudente e lungimirante per i contribuenti che vogliano garantire il loro tenore di vita futuro. E in una stagione in cui investire nel Paese è di vitale importanza – lo ha messo in luce, da ultimo, il rapporto Draghi – potrebbe forse essere la volta buona per cercare di puntare a convogliare questi fondi nell’economia del Paese. Un fatto quantomai auspicabile, che potrebbe aumentare considerevolmente la quota degli investimenti istituzionali non bancari in questo campo.”