Interventi di legge “diretti non tanto a sopprimere esplicitamente gli adeguamenti automatici” sulle pensioni, inclusi gli scatti di età, “ma a limitarli, differirli o dilazionarli, determinerebbero comunque un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano”. Così la Ragioneria generale dello Stato, nel rapporto sulla spesa per pensioni. “Ritornare nella sfera della discrezionalità politica” determinerebbe un “peggioramento della valutazione del rischio paese”. “Il processo di elevamento dei requisiti minimi e il relativo meccanismo di adeguamento automatico” sulle pensioni sono “dei fondamentali parametri di valutazione dei sistemi pensionistici specie per i paesi con alto debito pubblico come l’Italia”, prosegue il Report. “Ciò non solo perché” la previsione di requisiti minimi, come quelli sull’età, è “condizione irrinunciabile” per “la sostenibilità, ma anche perché costituisce la misura più efficace per sostenere il livello delle prestazioni”.
I sindacati sono contro un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile in merito alla presa di posizione della Ragioneria generale dello Stato, che ieri, 8 agosto, ha posto un altolà a uno dei punti cardine delle richieste avanzate dai sindacati al governo in materia previdenziale: ossia che non scatti l’aumento a 67 anni attualmente previsto per il 2019.
“Dopo i drastici incrementi previsti dalle ultime manovre l’Italia si trova già ora ad avere l’età di pensionamento più alta in Europa. L’intervento della Ragioneria dello Stato è del tutto inopportuno perché ad essa spetta il compito di vigilare sull’affidabilità dei Conti dello Stato, non di intervenire sulle scelte politiche che la determinano.
Il negoziato tra governo e i sindacati sulle pensioni, per l’avvio della cosiddetta “fase 2” sui temi previdenziali, si è fermato poche settimane fa senza sostanziali passi avanti, ed è stato aggiornato a settembre. Le tre confederazioni hanno una posizione unitaria, e chiedono di interrompere l’innalzamento automatico dell’età pensionabile, previsto dalla riforma del 2011 per adeguarla alla speranza di vita. Come spiegato dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva in una recente audizione alla Camera, nel 2019 si andrà in pensione a 67 anni (dai 66 anni e sette mesi del 2018), con uno scatto di cinque mesi in avanti. Altri tre mesi saranno aggiunti nel 2021, mentre dal 2023 si prevede un incremento di due mesi alla volta: l’età pensionabile sarà di 68 anni e 1 mese nel 2031, di 68 anni e 11 mesi nel 2041 e di 69 anni e 9 mesi nel 2051. Il primo aumento, quello a 67 anni, dovrà essere autorizzato con un decreto interministeriale da emanarsi entro il 1° gennaio 2018. A fronte di questo, per i sindacati è fondamentale “interrompere, con un atto normativo, l’automatismo previsto dal decreto legge 78/10 sull’adeguamento dell’età di pensione alla speranza di vita”.
Nella trattativa rientrano molti altri temi: la definizione di una “pensione contributiva di garanzia” per i giovani, il riconoscimento dei contributi figurativi per chi ha svolto un lavoro di cura per anziani e disabili, il riconoscimento di un anticipo legato alla maternità (la proposta sindacale è di un anno per figlio), il rafforzamento della flessibilità nell’accesso al pensionamento, lo sviluppo della previdenza complementare (con la conseguente adozione di misure che favoriscano gli investimenti dei fondi nell’economia reale), la rivalutazione delle pensioni attuali e l’adeguatezza di quelle future.
. La Ragioneria finge di ignorare che l’Italia ha la maglia nera tra i paesi Ue per l’età di accesso alla pensione: ecco perché aumentarla ancora sarebbe una vera crudeltà per i lavoratori. Occorre sterilizzare l’incremento automatico dell’età pensionabile legato all’aspettativa di vita previsto nel 2019 e, contemporaneamente, di studiare la reale situazione nei diversi settori lavorativi.