La recente proposta di bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita ha tra i suoi presupposti anche un falso mito, quello secondo cui l’Italia “vanterebbe” il record internazionale dell’età di pensionamento. Ecco cosa emerge dal confronto con i dati OCSE
Michaela Camilleri
L’Italia vanta davvero il primato internazionale in termini di età di pensionamento, come si sente spesso dire quando si parla di pensioni? La risposta in realtà cerca proprio di sfatare questo falso mito. Sì, perché occorre innanzitutto fare chiarezza tra età legale per l’accesso alla pensione di vecchiaia e età media effettiva di pensionamento.
Partiamo dalle regole attualmente in vigore: dal prossimo gennaio scatta l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne a 66 anni e 7 mesi, con un incremento di un anno per le dipendenti private e di 6 mesi per le lavoratrici autonome (per i dipendenti pubblici vale già questo limite legale). Se, da una parte, è vero che il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà il più alto d’Europa e che il divario aumenterà nei prossimi anni per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita (si dovrebbero raggiungere i 67 anni nel 2021), dall’altra è pur vero che, guardando all’età effettiva di pensionamento, l’Italia non vanta alcun primato globale.
Guardando alle statistiche recentemente pubblicate dall’OCSE, infatti, si scopre che tra il 2009 e il 2014 (ultimo dato disponibile per il confronto internazionale) le lavoratrici italiane sono andate in pensione a un’età media effettiva di 61 anni e un mese, contro una media OCSE di 63 anni e 2 mesi, posizionandosi alle spalle di Paesi come il Regno Unito (62,4), la Germania (62,7), la Spagna (63,1) e la Svezia (64,2); mentre per quanto riguarda gli uomini, l’Italia si posiziona addirittura al quart’ultimo posto (vanno in pensione prima solo i lavoratori di Francia, Belgio e Slovacchia) con un’età media effettiva di 61 anni e 4 mesi, a fronte di una media OCSE pari a 64 anni e 6 mesi.
Sulla base degli ultimi dati INPS relativi all’anno 2016, se si considera il complesso delle tre categorie anzianità, vecchiaia e prepensionamenti l’età media di pensionamento nel caso dell’Italia si è attestata a quota 63,2 anni, in aumento rispetto al 2014 a 63,9 anni per gli uomini e a 61,9 anni per le donne. Il tema sarà approfondito nel Quinto Rapporto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2016” a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali che sarà presentato il prossimo febbraio alla Camera dei Deputati.
Tornando ai dati OCSE, si tratta ovviamente di valori medi calcolati su intervalli di 5 anni; dunque, occorre tenere presente che ci sono e ci saranno sicuramente lavoratori costretti ad andare in quiescenza non prima della soglia legale, magari per via di carriere lavorative discontinue e caratterizzate da buchi contributivi. Tuttavia, ciò che si può comunque affermare alla luce di questi dati è che, se si guarda non tanto all’età legale ma quanto piuttosto a quella effettiva alla decorrenza della pensione, non è realistico sostenere che i nostri sono i requisiti più severi al mondo.
E questo perché bisogna tener conto della possibilità di anticipare l’età legale di pensionamento, accedendo alla pensione di anzianità con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne, delle varie forme di flessibilità introdotte dal legislatore, dalle salvaguardie previste per gli esodati all’opzione donna, ai prepensionamenti, etc.
Le recente proposta di bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita muove allora da un luogo comune che risulta però smentito dai dati. Sorgono allora spontanee due considerazioni: perché bloccare uno degli stabilizzatori automatici della spesa pensionistica in grado di mantenere in parziale equilibrio il nostro sistema, anche alla luce della recente contenuta crescita dell’aspettativa di vita? Perché non pensare piuttosto di eliminare l’aggancio dell’anzianità contributiva, e non dell’età anagrafica di pensionamento, alla speranza di vita riportando così il requisito a 40/41 anni com’era prima della riforma Monti-Fornero?