L’indennità di posizione corrisposta ai lavoratori del pubblico impiego ai sensi dei contratti collettivi non può essere valutata ai fini della determinazione della misura dell’indennità di buonuscita. E’ quanto ha stabilito  la Sentenza della Corte di Cassazione numero 24454 del 17 Ottobre 2017 in merito ad un ricorso di una  lavoratrice dell’Università degli Studi di Firenze alla quale l’Inpdap non l’aveva ricompresa nel calcolo della liquidazione al momento della cessazione dal servizio.
La dipendente aveva fatto causa all’Inpdap per ottenere il computo della retribuzione di posizione e dell’indennità di esclusività nelle competenze di fine rapporto da corrispondere in occasione della cessazione dal servizio. Le corti territoriali di primo e secondo grado avevano dato ragione alla lavoratrice riconoscendo il diritto all’inclusione delle suddette voci retributive nella base di computo dell’indennità di buonuscita in considerazione della possibilità riconosciuta alla contrattazione collettiva di modificare la disciplina legale di riferimento ai sensi dell’art. 2 comma 9 della legge n. 335/1995. Avverso tale sentenza, l’Inps – in qualità di successore dell’Inpdap – ha fatto  ricorso per cassazione. La Suprema Corte ha accolto le richieste dell’Istituto di Previdenza cassando la sentenza d’Appello relativa all’inclusione dell’indennità di posizione nella base retributiva utile per il TFS ed ha rimandato alla Corte d’Appello la decisione sull’indennità di esclusività esplicitando, al riguardo, i criteri per la sua eventuale inclusione o meno nella base di calcolo.
Le motivazioni
La Cassazione nella sentenza ha precisato che la contrattazione collettiva non può interferire in ordine all’inclusione di ulteriori elementi retributivi nella base di computo dell’indennità di buonuscita che è regolata in maniera inderogabile ai sensi dell’articolo 38 del DPR 1032/1973. Tale disposizione individua la base contributiva di calcolo dell’indennità di buonuscita e vi include in primo luogo lo stipendio, nonché specifiche indennità ed assegni previste da varie norme di legge (comma 1), prevedendo poi che concorrono altresì a costituire la base contributiva gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale (indennità di funzione, indennità perequativa, eccetera), tra cui non figurano altre voci come in particolare l’indennità di posizione nè tantomeno la contrattazione collettiva può modificare tale quadro complessivo.
“Il regime della indennità di buonuscita appena illustrato – spiegano i giudici – non è mutato a seguito della privatizzazione del pubblico impiego,in quanto dalla L. n. 335 del 1995, art. 2, si deduce che solo per i lavoratori assunti nella PA dal 1 gennaio 1996 è previsto che abbiano i trattamenti di fine rapporto regolati secondo le disposizioni del codice civile; per contro, in relazione ai lavoratori già in servizio al 31.12.1995 (fra i quali vanno ricompresi gli ex dipendenti per cui è causa) è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto”.
Per quanto riguarda l’indennità di esclusività i giudici precisano che essa può rientrare nella base di calcolo della buonuscita in conseguenza dello svolgimento di attività assistenziale sanitaria. In tale circostanza l’indennità in questione è attribuita per remunerare la prestazione assistenziale resa dal personale universitario non medico nelle cliniche e negli istituti di ricovero e cura convenzionati con gli enti ospedalieri o gestiti direttamente dalle Università. L’indennità di esclusività si differenzia, pertanto, quanto a natura ed effetti derivanti dalle previsioni contrattuali collettive successive, rispetto all’indennità di posizione in quanto essa diviene componente del complessivo trattamento economico. Pertanto la Suprema Corte ha rimesso la decisione alla Corte di Merito che dovrà accertare, ai fini del suo riconoscimento, se la lavoratrice ha prestato servizio nell’ultimo anno di lavoro presso struttura universitaria in convenzione sanitaria.
Le norme sono comunque più favorevoli
” Ad ogni modo – concludono i giudici – la regola per cui la indennità viene calcolata su una base non onnicomprensiva, ossia limitata allo stipendio base, con esclusione di altre indennità, conduce comunque ad un trattamento molto più favorevole rispetto a quello relativo al TFR spettante ai i dipendenti privati, giacché i destinatari del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38 citato, hanno il vantaggio di moltiplicare “l’ultimo stipendio” per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del sistema del TFR, che si compone della somma di accantonamenti annuali, che riproducono, non già i più alti compensi percepiti al termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno per anno”.