Dopo un periodo difficile, arrivano dati e segnali incoraggianti dall’Italia in materia di lavoro e pensioni: come spiegare allora i frequenti allarmi internazionali? L’analisi del Prof. Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Nel 2017 il nostro Paese ha vissuto una fase positiva, dopo molto anni di “vacche magre”, evidenziando una ripresa dell’economia confortata da buoni dati sul fronte lavoro e pensioni.
Non interessa qui cercare a chi attribuire i meriti; è il Paese, o una parte di esso, che si è risvegliata grazie all’aumento della domanda estera e interna e al turismo che, per via delle paure nello scegliere le mete classiche, ha visto un incremento della “destinazione Italia” sia da parte dei nostri connazionali sia internazionale. E come se tutto ciò non accadesse, arrivano gli allarmi sui conti pubblici e soprattutto sulle pensioni da Unione Europea e Ocse, paventando situazioni insostenibili nel medio lungo termine.
Se gli allarmi sono giustificabili sotto il profilo del debito pubblico, non lo sono in tema di pensioni e lavoro. Dalle anticipazioni del Quinto Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, che sarà presentato alla Camera dei Deputati il prossimo 21 febbraio, ricaviamo quanto segue: a fine 2016 il numero degli occupati è aumentato rispetto al 2015 di 294 mila unità passando da 22.464.753 a 22.757.838, il dato migliore dal 2009 e simile a quello del 2007; addirittura a ottobre il tasso di occupazione complessivo ha toccato il 58,1% con 23,058 milioni di occupati che eguaglia il record di tutti i tempi registrato nel 2008 con 23,090 milioni di occupati. L’occupazione femminile è passata dal 47,1% del 2007 al 49,1% del secondo trimestre del 2017, il dato migliore di sempre. Continua anche l’aumento degli occupati over 50 che passa dal 47% del 2008 al 59,5% nel terzo trimestre 2017.
E’ vero, permane ancora una forte disoccupazione (11,1%), ma una fetta consistente dipende da difetti italici quali adattabilità e specializzazione; si stima infatti una carenza di circa 65 mila specializzati richiesti dall’industria e qualche centinaio di migliaia dalle attività artigianali e di servizio, solo in parte colmate dagli immigrati. Anche il Pil reale migliora e supera quota 1,5%, fondamentale per tenere sotto controllo il rapporto spesa pensioni/PIL. Anche sul fronte delle pensioni i dati sono positivi: il numero dei pensionati si è ridotto di 114.869 unità toccando nel 2016 quota 16.064.508, il dato più basso dal 1997 (primo anno del nostro data base). Pertanto, il rapporto tra attivi e pensionati è arrivato a 1,417, non un dato eclatante, ma il migliore dal 1997. Con un rapporto di 1,5 attivi per pensionato non siamo sulla luna, ma cominciamo ad avere un sistema più sostenibile.
fonte: Itinerari Previdenziali