La polemica sulle pensioni non sembra affievolirsi, ma oltre a rivendicare le proprie ragioni, forse è giunto il momento di fare un primo bilancio e chiedere una pausa di riflessione. E partendo dall’unica cosa certa: il progetto di legge di revisione dell’attuale meccanismo di calcolo degli importi pensionistici, redatto e depositato il 6 agosto dal governo. Occorre però una premessa: il documento in questione è il risultato concreto di un’incessante campagna mediatica – partita già in periodo pre-elettorale e rafforzatasi in vista della pausa estiva del Parlamento – indirizzata al cosiddetto ‘superamento’ della legge Fornero e al ripristino di una presunta iniquità del sistema previdenziale vigente.
Slogan potenti in termini di raccolta di consenso, ma di complessa traduzione in un articolato di legge equilibrato e rispettoso del quadro normativo e dei vincoli di finanza pubblica. Così invece dei ‘sentieri stretti’ del bilancio dello Stato e della volontà di rispettare i tempi tecnici necessari per elaborare un testo legislativo che avrebbe dovuto essere preceduto da un’indispensabile concertazione, si è preferita la ‘scorciatoia’ di un progetto di legge tanto altisonante, quanto raffazzonato, ambiguo e, addirittura, peggiorativo della situazione preesistente.
Cida per prima ha contestato forma e sostanza del testo e ha denunciato i danni che avrebbe causato, mettendo in chiaro che avrebbe provveduto a difendere le categorie che rappresenta. Poi le incongruenze del testo sono esplose in tutte le loro palesi contraddizioni e le voci di protesta si sono moltiplicate provocando, purtroppo, la consueta prassi di alcuni esponenti del governo sempre solerti a tentare di mettere a tacere qualsiasi voce critica nei confronti dell’azione dell’esecutivo, con una foga che rasenta l’acrimonia.
Al di fuori di intenti polemici, gli effetti del progetto di legge governativo possono essere così sintetizzati: non c’è alcun vero ricalcolo finalizzato al riequilibrio fra sistema retributivo e contributivo, ma, di fatto, c’è un taglio della pensione proporzionale all’anticipo del pensionamento. Insomma una decurtazione netta degli emolumenti basata sulla distanza intercorrente fra l’età al momento del pensionamento e quella di vecchiaia. Inoltre questo meccanismo, con l’aggiunta di mantenere l’asticella dell’intervento entro un limite ‘oscillante’ sugli 80mila euro annui, sembra fatto apposta per allargare la platea dei destinatari.
Secondo le ipotesi formulate dagli esperti, donne e militari sarebbero i più danneggiati vista l’età di pensionamento (anticipata a 57-58 anni dalla legge, negli anni passati) che, con la norma in questione, si vedrebbero applicare retroattivamente un ricalcolo arbitrario con età pensionabili e coefficienti di trasformazione decisi ora, non in vigore al momento del pensionamento. Ma nella ‘rete’ finirebbero anche direttori generali, medici, finanzieri, carabinieri, poliziotti; in aggiunta a prefetti, diplomatici, quadri dell’industria e a professionisti quali architetti, ingegneri, commercialisti, giornalisti. Per inciso, molti di questi soggetti, sono stati ‘costretti’ alla pensione anticipata da processi di ristrutturazione o di crisi aziendali.
Fuori resterebbero, a proposito di equità del progetto, magistrati e professori universitari perché potendo restare sino ai 70 anni in servizio, non rientrerebbero nella casistica di coloro che hanno anticipato l’uscita dal lavoro. La loro pensione, quindi, la quale non sarebbe ricalcolata, ovvero non sarebbe tagliata di quel 15%-20% che dovrebbe falcidiare gli assegni pensionistici rientranti nelle fattispecie governative.
Oltre a queste osservazioni obiettive, come Cida constatiamo che, ancora una volta, si sta prendendo di mira la classe dirigente di questo Paese, prima colpevolizzandola con la becera demagogia delle ‘pensioni d’oro’, poi inventandosi il ‘disonore’ degli 80mila euro annui, il tutto condito con odio di classe e rancore sociale. Forse è questa la pagina più brutta di tutta la storia, perché seminare discordia nella società è il contrario di quello che dovrebbe fare la politica.
Credo sia giunto il momento di fermare questa forsennata giostra e tornare a ragionare evitando la rincorsa delle contrapposizioni. Cida non ha secondi fini, né vuole farsi strumentalizzare politicamente. Ma è consapevole dei limiti del provvedimento governativo e ne chiede il ritiro. Sarebbe la mossa più giusta da fare e metterebbe fine alle polemiche. Il ritiro non sarebbe affatto un’affermazione di sconfitta perché lo si accompagnerebbe con l’apertura di un vero tavolo di confronto fra il governo e le parti sociali. In questo modo l’esecutivo assumerebbe il ruolo che gli spetta, quello di esercitare l’indirizzo politico in modo democratico, ovvero con la partecipazione ed il coinvolgimento dei corpi intermedi. E’ la sintesi degli interessi diversi, a volte confliggenti, il vero primato della politica.
Giorgio Ambrogioni
presidente di Cida, la Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità

fonte: formiche.net