Gli Esg sono il tema caldo di questi ultimi anni. Nell’era post covid-19 poi la E, la S e la G hanno trovato nuova linfa e energia per svilupparsi ulteriormente.
Mancano regole chiare e best practice sul tema Esg. Ad oggi ci sono infatti diversi indici, ma non c’è una regola chiara su quale sia il modello comune. Questo lascia le aziende disorientate perché non sanno bene su che cosa verranno valutate e che informazioni dovrebbero fornire per essere ben percepite.
Gabriele Giordani, consigliere dell’Associazione investor relator (Air), durante la conferenza sui “Fondi pensioni e gli investimenti Esg” organizzata da EticaNews, ha spiegato come nel tempo ci sia stata un’evoluzione all’interno delle aziende e come la tematica Esg sia sempre più importante. L’assenza di regole ben chiare non favorisce però l’ulteriore sviluppo di questo tema. Oltre a questo Giordani sottolinea anche come ci siano degli elementi che non sono materiali per una determinata azienda, e di cui gli investitori ne chiedono spesso conto. Accanto a delle regole precise – precisa il consigliere – bisognerebbe dunque definire anche metodologie più flessibili da adattare ad ogni società. Si dovrebbe quindi evitare di stilare un elenco infinito che poi va a penalizzare il rating della singola azienda senza un vero motivo.

Se da un lato è vero che in Italia è ancora lunga la strada da fare in campo di sostenibilità, dall’altro bisogna però considerare il contesto europeo e internazionale. Ampliando infatti lo sguardo si nota come il nostro Paese non è poi così male sotto l’aspetto Esg. Luca De Biasi wealth business leader Mercer Italia, ha infatti spiegato come in molti aspetti l’Italia non indietro. Se per esempio si considera la policy sugli investimenti Esg, il 40% dei fondi pensione ha risposto positivamente. A livello internazionale la percentuale sale al 55%. A questo si aggiunge anche che la maggior parte di chi ha risposto alla ricerca ha dichiarato, a livello italiano, di scegliere l’inserimento di prodotto Esg per via della performance, mentre a livello internazionale, l’attenzione e la scelta dell’investimento è sfato fatto più perché si è stati spinti dai regulator.

Per quanto riguarda il cambiamento climatico, solo il 17% dei fondi pensioni hanno considerato di investire in Esg in considerazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico. Un percentuale molto bassa. Ma se confrontata con quella Europea (14%), risulta essere rispettabile. De Biasi ha inoltre anche spiegato come nel tempo i rischi più importanti per le imprese sono sempre più legali al cambiamento climatico. E questo uno dei motivi principali che sta spingendo sempre più le aziende, e gli investitori istituzionali a focalizzarsi su questi rischi. “Anche perché non possiamo più aspettare. Stiamo vivendo in un mondo che ha già avuto un’importante cambiamento climatico e i clienti non possono non prenderlo in considerazione”, dichiara De Biasi. “Il rischio non può essere ignorato sia perché riguardala vita di tutti noi sia per il portafoglio. Dobbiamo diventare più responsabili e far diventare anche più resilienti i portafogli”. Questo significa dunque investire in tutti quegli aspetti legati a temi Esg. Secondo un modello sviluppato da Mercer se si dovesse investire in carbone, i ritorni nel 2030 sarebbero negativi (-7,1%). Stessa sorte se si dovessero scegliere l’olio e il gas (-4,5%). Se invece si decidesse di investire nelle energie rinnovabili si avrebbe un ritorno del 5,2%.

E dunque investire in sostenibilità non solo per cercare di evitare rischi aziendali, e per preservare l’ambiente ma anche per cercare di stabilizzare sempre di più il portafoglio degli investitoti.

fonte: We Welt