Con circolare n. 74 del 4 maggio 2021, l’INPS ha dato le indicazioni operative per la valorizzazione a fini pensionistici dei periodi di sospensione del lavoro nei contratti di part-time verticale o ciclico, come previsto nell’ultima Legge di Bilancio, con l’art 1 della legge n.178 del 30 dicembre 2020, comma 350.
L’art. 1, comma 350, della Legge 30 dicembre 2020, n. 178 dispone che: “Il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l’accesso al diritto alla pensione. A tal fine, il numero delle settimane da assumere ai fini pensionistici si determina rapportando il totale della contribuzione annuale al minimale contributivo settimanale determinato ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638. Con riferimento ai contratti di lavoro a tempo parziale esauriti prima della data di entrata in vigore della presente legge, il riconoscimento dei periodi non interamente lavorati è subordinato alla presentazione di apposita domanda dell’interessato corredata da idonea documentazione. I trattamenti pensionistici liquidati in applicazione della presente disposizione non possono avere decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore della stessa”.
Il part-time (o lavoro a tempo parziale) è stato disciplinato per la prima volta con il D.L. n. 726/1984 che ha stabilito le norme, a decorrere dal 6 gennaio 1985 (data di entrata in vigore della norma) relative al rapporto di lavoro ad orario ridotto rispetto a quello ordinario previsto dai CCNL.
Il D.lgs. 20 febbraio 2000, n. 61,( ora abrogato) in attuazione della direttiva Ue 97/81/CE del 15 dicembre 1997, detta nuove disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale abrogando alcune delle norme che precedentemente regolavano la materia (vedi circolare INPS n. 123/2000).
Al lavoratore part time sono riconosciuti gli stessi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile. E’ sancito il principio della parità di trattamento per quanto riguarda l’importo della retribuzione oraria, la durata del periodo di prova, le ferie, la maternità, la malattia, la formazione professionale;
Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a part time, e viceversa, non costituisce giusta causa per il licenziamento.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 10 giugno 2010, ha affermato che il principio di non discriminazione enunciato, recepita dall’Italia nel 2000, comporta che “l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati”.
La Suprema Corte di Cassazione, con diverse pronunce, ha uniformato la propria posizione a tale principio di diritto.
Il D.lgs. n. 81 del 15 giugno 2015 oggi, rappresenta la normativa di riferimento.
Il diritto alla valorizzazione è subordinato a una domanda per tutti i periodi di lavoro svolti entro il 31 dicembre 2020, anche per i rapporti di lavoro in corso, mentre, per la contribuzione successiva il 01 gennaio 2021 vengono date istruzioni alle aziende per la compilazione del flusso UniEmens.
E’ un ottimo risultato che va nella direzione giusta, ma ci sono ancora molti punti da superare, in particolare quella legata alla documentazione da produrre per la richiesta di valorizzazione del periodo e quella relativa all’applicazione della prescrizione decennale.
Il primo riguarda l’obbligo di allegare alla domanda di riconoscimento dei periodi, il “contratto di lavoro”. Per i rapporti di lavoro già finiti, dovrebbe essere sufficiente la presentazione dell’autocertificazione allegando eventualmente la documentazione di cui si è in possesso.
Mentre, per quanto riguarda l’applicazione della prescrizione decennale a decorrere dal 01
gennaio 2021, è poco certo che possa trovare applicazione, trattandosi non di un mancato
versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro, ma di una richiesta di
riconoscimento pieno dell’anzianità contributiva che sorge con la legge di bilancio surrichiamata.