Il sistema pensionistico italiano non è stato mai così in fibrillazione come in questo momento. I giornali sono pieni di analisi, scenari e proposte. Si può veramente affermare che la partenza della busta arancione ha veramente mosso le acque. Ma non tutte le analisi e le proposte si muovono nel solco della razionalità e della lungimiranza. Contribuiscono invece ad aumentare confusione, incertezza ed inquietudine. Alla fine l’unica speranza rimane la negletta previdenza complementare.
Già in precedenza il presidente dell’Inps aveva contribuito ad intorbidare le acque con proposte di riforme pensionistiche, ma la sua recente sortita, che ha fatto andare su tutte le furie il governo, è quella più dirompente. L’ipotesi  che i giovani nati nel 1980 debbano lavorare fino a 75 anni per maturare il diritto a pensione, non poteva passare inosservata. Le sortite di Boeri non fanno che avvalorare la tesi  già molto diffusa che nel prossimo futuro le pensioni addirittura non ci saranno più, alimentando un clima che un volta si sarebbe detto di disfattismo.  Proprio per evitare questa deriva i sindacati sono scesi in campo.  “E’ irragionevole, rischia di sembrare un annuncio e non una criticità da affrontare” ha affermato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, a margine dell’assemblea dei lavoratori con disabilità “Rischia di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani -ha continuato – con molti che reagiscono dicendo allora non pago più i contributi”..
L’esternazione di Boeri nasce dalle nuove regole previste dalla Fornero. Con il vecchio sistema quando si compiva 65 anni di età con 20 anni di contributi si andava in pensione comunque. Se l’importo era inferiore ad una soglia minima, interveniva l’Inps erogando la differenza. Cioè per capirsi se l’importo della pensione viene  400 euro e la pensione minima è di 500, l’Inps paga i 100 euro di differenza ( integrazione al minimo). Con il contributivo puro l’integrazione al minimo è stata soppressa per motivi di risparmio. Oggi  per andare in pensione bisogna soddisfare 3 condizioni: l’età 66 anni e 7 mesi, i contributi, 20 anni e l’importo della pensione non può essere inferiore ad una volta e mezzo l’assegno sociale, cioè 650 euro. Quindi se l’assegno è inferiore si sposta l’età in avanti. 67, 68 ecc… una corsa senza fine.
Ma  Boeri però dimentica che a 70 anni questi vincoli non esistono più. 70 anni è sempre una bella età, ma è sempre meglio che 75!
Comunque le acque previdenziali, mai completamente calme sono in tempesta a forza 8.
Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera rispetto all’ipotesi Boeri,  ha ribadito che oltre i 66 anni non si può più lavorare almeno per alcune categorie.
La non adeguatezza delle future pensioni riporta in primo piano la previdenza  complementare
Infatti la vera novità starebbe nell’intenzione del  governo di promuovere nuovamente la previdenza complementare. Il governo parrebbe intenzionato a ridurre l’aliquota sui rendimenti finanziari che aveva innalzato nel 2015 dall’11 al 20% , ed aumentare la deducibilità fiscale dei versamenti. Ma non è esclusa neanche l’ipotesi di rendere obbligatorio e non più facoltativo il trasferimento ai fondi integrativi del Tfr che solo lo 0.7% ha voluto in busta paga). In questa ridda di ipotesi torna la decontribuzione voluta dalla Fornero è cioè l’idea  di spostare sulla complementare il 2/3%  di contribuzione obbligatoria.