La Covip, l’Autorità di Vigilanza sulla Previdenza Complementare e ora anche sulle Casse pensioni privatizzate dei professionisti, ha tenuto il 9 giugno 2016 nella Sala della Regina a Monte Citorio la sua Relazione annuale.
Per analizzare le prospettive di sviluppo del Welfare nel nostro Paese, è necessario far riferimento al quadro macroeconomico generale.
A livello globale, i tratti distintivi sono una sostanziale stabilità dei tassi di crescita reali, pur con differenze tra economie sviluppate, emergenti ed in via di sviluppo, che si attestano attorno al 3 per cento per il 2015, e la flessione dei prezzi, che riflette la riduzione dei prezzi delle materie prime ed in particolare del petrolio.
L’Europa non fa eccezione. In Italia il PIL è cresciuto dello 0,8 per cento, dopo tre anni di flessione.
Nel 2015, perdura la tendenza all’aumento del prezzo delle attività finanziarie e alla riduzione dei tassi di interesse, che si sono attestati su livelli molto bassi e, in alcuni casi, in territori negativi.
In tale contesto, crescono le difficoltà per gli investitori istituzionali, compresi i fondi pensione e le casse, a realizzare risultati soddisfacenti in linea con gli obiettivi definiti ex-ante o con le garanzie offerte. Aumenta dunque il rischio di reinvestimento e diviene necessario ricercare nuove opportunità di investimento o di revisione delle caratteristiche dei prodotti offerti.
Occorre pertanto una nuova politica di investimento, da definire coerentemente con le finalità previdenziali.
Alla fine del 2015, i fondi pensione sono in tutto 469: 36 negoziali, 50 aperti, 78 piani individuali pensionistici (PIP), 304 preesistenti e FONDINPS.
Nel 2015, le adesioni alla previdenza complementare, al netto delle uscite, sono cresciute del 12,1 per cento. Dall’inizio dell’anno i nuovi ingressi nel sistema sono stati poco meno di 1 milione, la maggior parte confluita nei fondi negoziali (circa il 60 per cento delle nuove adesioni).
Va peraltro rilevato che la crescita degli iscritti ai fondi pensione negoziali (24,4 per cento in più rispetto all’anno precedente) deriva quasi esclusivamente dall’iscrizione automatica di tipo contrattuale di tutti i lavoratori dipendenti del settore edile, mediante versamento di un contributo a carico del solo datore di lavoro.
Nei fondi aperti la raccolta di nuove adesioni è tornata sostenuta: gli iscritti sono aumentati dell’8,8 per cento, il valore più alto dal 2008. Viceversa, nei PIP “nuovi” la crescita degli iscritti, pur sostenuta (10,1 per cento), è decelerata rispetto agli ultimi 5 anni.
A fine 2015, le forme totalizzano oltre 7,2 milioni di iscritti. Quasi 2,6 milioni sono di pertinenza dei PIP “nuovi”, 2,4 milioni dei fondi negoziali, 1,1 milioni dei fondi aperti e 640.000 dei fondi preesistenti. 
Complessivamente aderiscono alla previdenza complementare 5,2 milioni di lavoratori dipendenti privati, 1,9 milioni di lavoratori autonomi e 174.000 lavoratori dipendenti del settore pubblico.   
Rimane diffuso il fenomeno delle interruzioni contributive soprattutto fra le adesioni individuali dei lavoratori autonomi. Nel 2015 quasi 1,8 milioni di iscritti alla previdenza complementare non ha effettuato versamenti contributivi.
Considerando quindi solo coloro che hanno versato contributi nell’anno, il tasso di adesione si attesta al 24,2 per cento rispetto al totale degli occupati. Fra i lavoratori dipendenti del settore privato il tasso è pari al 31 per cento e tra i lavoratori autonomi al 19 per cento. Per i dipendenti pubblici il tasso di adesione è appena del 5,2 per cento.
Guardando alle adesioni per genere, per classe di età e per area geografica emerge un quadro abbastanza diversificato. Il tasso di adesione è sensibilmente più basso tra i giovani, le donne e al Sud, in questo riflettendo anche i tratti caratteristici del mercato del lavoro in Italia.
A fine 2015, il patrimonio accumulato dalle forme pensionistiche complementari ha superato i 140 miliardi di euro, in aumento del 7,1 per cento rispetto all’anno precedente. Esso rappresenta l’8,6 per cento del PIL.
deve rilevarsi come il flusso di TFR versato ai fondi pensione, pari a 5,5 miliardi di euro, costituisca oggi il 40 per cento circa dei complessivi flussi contributivi destinati alla previdenza complementare. Tale flusso non ha risentito della possibilità concessa dalla Legge di Stabilità 2015 di optare per l’accredito del TFR in busta paga.
Le prestazioni nel corso del 2015 sono aumentate di 1,4 miliardi di euro, per un totale di 7 miliardi di euro. L’incremento è per lo più dovuto alle anticipazioni, salite da 1,4 a 2,1 miliardi di euro, in modo pressoché trasversale in tutte le tipologie di forme pensionistiche. La gran parte delle anticipazioni rientra nelle fattispecie generiche, ossia non connesse a spese sanitarie o all’acquisto della prima casa.
Le altre voci di uscita della gestione previdenziale sono costituite da riscatti per 1,8 miliardi di euro, prestazioni pensionistiche in capitale per 1,6 miliardi di euro, erogazioni di rendite per circa 900 milioni di euro.
I rendimenti medi, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, si sono attestati al 2,7 per cento nei fondi negoziali e al 3 per cento nei fondi aperti; per i PIP “nuovi” , il rendimento medio è stato del 3,2 per cento. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,2 per cento.
L’allocazione degli investimenti delle forme pensionistiche complementari è rimasta sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. La quota più rilevante delle attività (62,6 per cento) è investita in titoli di debito; di questi il 78 per cento è costituito da titoli di Stato. Il 16,7 per cento degli attivi è costituito da titoli di capitale e il 12,8 per cento da OICR.
Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, anch’essi presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, ammontano a 4 miliardi di euro.
Nelle forme pensionistiche complementari, gli investimenti nell’economia italiana, pur se significativi, sono inferiori a quelli all’estero.