Il crollo dei mercati  finanziari all’indomani dell’esito referendario del Regno Unito ha riportato in primo piano la sicurezza dei piani previdenziali dei fondi pensione. Anche se c’è stato un parziale recupero, non bisogna dimenticare che fra venerdì e lunedì scorso  sono stati bruciati circa 600 miliardi di euro di cui un centinaio in Italia mettendo a dura prova il sistema bancario nostrano. 
Ma non è solo questo l’esito del referendum in campo previdenziale, ora c’è un sistema di regole consolidate che danno la certezza dei diritti maturati e la possibilità di poter trasferire la propria posizione pensionistica pubblica o integrativa da un paese all’altro. All’interno dei 27 Stati membri tutto rimarrà come prima, con la Gran Bretagna bisognerà vedere come verrà disciplinata la materia.
Dopo il crollo in borsa sono spariti dall’economia italiana 100 miliardi di capitalizzazione, quanto bastava ed avanzava per portare a compimento svariate  riforme previdenziali, con le quali si sarebbe potuto portare il limite di età per il pensionamento  a 60 anni di età e una garantire una pensione minima di cittadinanza di 1000 euro per tutti.
Ma ormai questi soldi non ci sono più e bisognerà fare i conti con quello che sarà rimasto da qui a qualche mese perché a quella data lo sciunami di venerdì  24 giugno e lunedì 27   si abbatterà nell’economia reale.
I mercati finanziari rimarranno ancora per molto nell’occhio del ciclone e, a parte gli speculatori che in queste situazioni vanno a nozze,  per i risparmiatori e gli investitori istituzionali non sapranno come tutelare i propri risparmi.

In questo sono coinvolti anche i  Fondi pensione complementari che alimentano le rendite degli aderenti con i rendimenti finanziari delle risorse di risparmio previdenziale investite. Anche se non bisogna mai dimenticare che i fondi pensione sono investitori nel lungo periodo. Confidano che nel lungo periodo in conseguenza degli effetti ciclici, le turbolenze vengono tutte riassorbite. Un po’ come si acquistano i Buoni Postali. Si comprano e si mettono da parte e dopo dieci vent’anni si passa alla riscossione.
Appena il 21 giugno scorso l’Eiopa, l’Autorità Europea di vigilanza sulle assicurazioni e sui fondi pensione aveva lanciato allarme sui rischi per la stabilità finanziaria a causa del protrarsi dei bassi rendimenti perché a suo parere, le politiche monetarie ed il basso costo del petrolio hanno comportato un prolungamento dei bassi rendimenti finanziari nel breve e medio periodo, mentre nel lungo periodo c’è ancora qualche rendimento apprezzabile ma che non supera il 2%.
Oggi la Brexit rende ancora più fosca questa previsione. Ma non coglie impreparati i fondi pensione.
L’incertezza nei mercati hanno portato i Fondi pensione a ridimensionare  la componente azionaria rispetto al benchmark. Per esempio alcuni hanno investito  un 3,75% del portafoglio contro il 5% prefissato, mantenendo una diversificazione per area geografica prevista dai rispettivi benchmark cominciando già da tempo a ridurre i titoli inglesi che infatti il giorno dopo, the day after Brexit hanno perso di meno perché già si erano in parte deprezzati. Poi negli asset italiani delle forme di previdenza complementare non erano presenti titoli bancari già a partire da qualche anno, quando scoppiò il caso MPS. Inoltre si continua ad utilizzare come asset gli E.T.F. che si ricorda essere strumenti con grande diversificazione che replicano fedelmente gli indici di riferimento.

Nel mercato obbligazionario e dei titoli di Stato già si era avuto un difficile inizio nel 2016  proseguito a causa delle forti tensioni sui tassi dovute alle conseguenze di un eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e con l’incertezza del risultato per le elezioni in Spagna. Queste tensioni, hanno portato a rialzi di breve termine dei tassi nei paesi a rischio, mentre nei paesi guida dell’Unione i tassi rimangono negativi. In questo scenario molti Fondi, hanno mantenuto la decisione di avere un atteggiamento prudente, con acquisti mirati su società e governi nel rispetto dei parametri stabiliti nella strategia di investimento che prevede rating non inferiori a BBB-, senza la rincorsa al rendimento più elevato, ma dando importanza ai fondamentali degli emittenti, dei settori e dei mercati di riferimento.
Investe in certificati a capitale protetto condizionato, con o senza opzione autocallable e in certificati a facoltà short, il target lordo del portafoglio tipo è pari al 4%.
Infatti il  decreto sugli investimenti dei fondi pensione ( DM 166/2014), li facoltizza ad  adottare  politiche di investimento più diversificate senza oltrepassare i vincoli quantitativi stabiliti per i vari prodotti finanziari.
Poi c’è l’altro  aspetto da tenere in considerazione e che riguarda la tutela dei diritti sociali connessi alla libera circolazione delle persone.
Un intervento relativamente recente in questo senso è la Direttiva 2014/50/UE emanata dal Parlamento europeo e il Consiglio il 16 aprile 2014 e relativa ai requisiti minimi per favorire la mobilità dei lavoratori tra Stati membri migliorando l’acquisto e la salvaguardia di diritti pensionistici complementari

Capita sempre più spesso che a seguito della cosiddetta globalizzazione economica, dell’integrazione dei vari Stati che compongono l’Unione Europea e la conseguente delocalizzazione delle fabbriche da un paese all’altro, in genere dall’ovest verso l’est, i cittadini di uno Stato debbano andare a lavorare in un altro. I  problemi inerenti diritti pensionistici dei sistemi pubblici, sono stati più o meno variamente risolti e consolidati. Ora però ci dovrà fare una nuova negoziazione per disciplinare la situazione in essere e quella futura. Probabilmente occorreranno degli accordi bilaterali come già esistono fra la UE e vari paesi di altri continenti, come l’Argentina, gli Usa ecc… Certo è che ci saranno ostacoli da superare per confermare quella che oggi è la “totalizzazione dei periodi pensionistici” maturati nei 27 paesi UE e la GB. Come pure diventerà più difficile per un pensionato del Galles, per esempio, trasferirsi a Tenerife, in Grecia o a Malta considerando che sono rari quelli in senso opposto.
Ma sono minuzie.
I problemi più grossi sono nel campo della previdenza complementare.
Un lavoratore di un’industria italiana, ad esempio, iscritto ad un fondo pensione di categoria italiana, la cui fabbrica è delocalizzata in Gran Bretagna, come ci si regola per la previdenza complementare? Rimane iscritto nel fondo di appartenenza, o si deve trasferire in analogo fondo territoriale e a quali prestazioni avrà diritto e come saranno tassate?  Oppure un lavoratore italiano che ha sottoscritto un Pip presso una società di assicurazione inglese e vuole trasferirla. Questi sono alcuni  dei casi più ovvi.
Si spera che sarà a cura della citata Eiopa, l’Autorità di vigilanza sui fondi pensione europei elaborare una piattaforma organica da negoziare con la G.B in modo che i diritti dei trasfrontalieri non abbiano a soffrire.