Boeri ha rilasciato una lunga ed articolata intervista al Corriere della Sera del 28/10/2016 in cui ripropone tutti i suoi cavalli di battaglia in tema di riforma delle pensioni  e della riforma Inps, accusando per l’ennesima volta il governo di aumentare la spesa previdenziale ed i sindacati di ostacolare la riforma Inps perché non vogliono rinunciare al loro potere su di esso, specie per la gestione ( e nomina dei dirigenti ndA) .  Poi ha corretto il tiro con una smentita: “Mai detto e mai pensato che gli impegni del governo sono poco credibili. Anzi, le osservazioni che in passato ho rivolto all’esecutivo le ho fatte proprio perché so che il governo si impegna seriamente sui suoi piani. Oggi mi sono espresso unicamente sul tema delle salvaguardie precisando che ci avevano detto che la settima sarebbe stata l’ultima invece ora c’è l’ottava e ho già il tam tam della nona”.  Boeri ha così precisato  il senso di un suo intervento ad un workshop a Torino. La sua preoccupazione di fondo comunque non è peregrina  perché non vuol appesantire il fardello che già grava sulle generazioni future.
Alla domanda se la flessibilità concordata con i sindacati non è sostenibile, ha detto
che  gli interventi sulla quattordicesima, sui lavoratori precoci e la sperimentazione dell’Ape Social fino al 2018 aumentano il debito pensionistico di circa 20 miliardi. Ci sono poi i costi legati all’innalzamento della no-tax area per i pensionati e ai crediti di imposta per chi chiede l’Ape di mercato. Inoltre rimangono diverse questioni irrisolte che possono generare ulteriori aumenti di spesa come la possibilità che dopo il 2018 non sarà così facile interrompere l’Ape Social. Questa misura non comporta riduzioni della pensione per chi si ritira prima. Sarà anzi forte la pressione ad allargare la platea.

Probabilmente  nel 2018, le parti sociali si ripresenteranno con la lista di altre categorie che busseranno alla porta dell’Ape Social, come già paventava Giuliano Cassola su Formiche.net del 25/10/2016, perché sulle condizioni d’accesso all’Ape Social non sono stati messi dei paletti rigidi. Per esempio viene previsto l’accesso a persone che hanno oneri familiari legati a situazioni di non-autosufficienza e, alla luce anche di esperienze come la 104, sappiamo quanto sia difficile delimitare le platee dei potenziali beneficiari.
Ci sono diversi aspetti che sono stati lasciati aperti per la seconda fase del confronto governo-sindacati: l’indicizzazione delle pensioni, che secondo quest’accordo dev’essere rivista; c’è la definizione di lavori gravosi. E’ importante definire un insieme di parametri oggettivi. Altrimenti sarà molto difficile delimitare le platee. Poi ci sono le salvaguardie. Adesso ci sarà l’ottava. Si dice che sarà l’ultima, ma anche la settima (e prima ancora la sesta) doveva essere l’ultima.
ll debito pensionistico potrà essere ulteriormente gonfiato da quanto avverrà nella fase due del confronto. Ad esempio, se solo l’Ape Social venisse rinnovata e resa strutturale dopo il 2018, l’Inps  calcola che ci sarebbero altri 24 miliardi di debito pensionistico. Dunque in totale un po’ più di due punti e mezzo di debito pensionistico in più, attorno ai 44 miliardi. Per questo, è fondamentale che sin d’ora si lavori molto seriamente su due terreni. Primo: quello dei lavori gravosi. Occorre  fare un approfondimento per guardare alle differenze nella longevità in base al tipo di lavori svolti. Il sistema contributivo attualmente prevede che i coefficienti di trasformazione siano uguali per tutti. E’ giusto riconoscere che alcuni lavori gravosi comportino rischi di infortuni per se stessi e per le persone con cui si lavora in tarda età – una questione che l’Inail può valutare – e possano avere effetti sulla speranza di vita. Questa analisi può aiutare il governo nel prendere decisioni su come adeguare i coefficienti di trasformazione per queste categorie. Così facendo ci sarebbe un criterio obiettivo per dare a questi lavoratori un trattamento diverso da quello che viene riservato ad altri lavoratori
Rispetto all’accusa che anche  la proposta Boeri per la flessibilità pensionistica implica un aumento dei costi, il presidente dell’Inps risponde che è falsa  perché anzi avrebbe comportato una riduzione, ma si basa oltre che sui coefficienti differenziati, sulla sua vecchia idea di ridurre le pensioni in essere.
In termini di debito pensionistico le nostre proposte lo riducevano. Per due motivi, primo applicavano i coefficienti di trasformazione, che danno sostenibilità al nostro sistema, e ogni flessibilità che veniva concessa era pienamente all’interno di quei parametri. In più la proposta Inps prevedeva un’operazione di riduzione parziale delle pensioni in essere. Facendo queste operazioni il debito pensionistico scendeva di circa 4punti di pil, una riduzione importante.”