La caduta del Pil dovuta alla pandemia incide sulla rivalutazione del montante contributivo. I sindacati e la ministra del lavoro si sono accordati su una clausola di salvaguardia per non far subire pesanti perdite ai pensionandi. Ma ora tutto verrebbe rimesso in discussione.
Secondo i tecnici del Mef l’attuale regola non eviterebbe la penalizzazione ma la rinvierebbe al 2023, visto che chi andrà in pensione nel 2022 farebbe in tempo a subirle
Il meccanismo di salvaguardia delle pensioni rischia di essere rimandato per almeno un anno, secondo quanto riporta Today Economia, a causa dei costi, che potrebbero arrivare fino a 3 miliardi. Il Sole 24 Ore oggi spiega che l’intervento annunciato nei giorni scorsi dalla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo è tornato in discussione e la prospettiva oggi è quella di un congelamento della misura garantita ai sindacati per sterilizzare gli effetti della caduta del Pil sull’ammontare totale.
Quindi non c’è necessità di agire subito. La legge 109 di conversione del dl 65 che risale al 2015 e che prevede la salvaguardia da un effetto recessione sul coefficiente di rivalutazione del montante contributivo sarebbe valida anche per chi uscirà dal lavoro nel 2021.
Si ricorda che l’Art. 5 Dl n. 65/2015 convertito con l 109/15 stabilisce che «In ogni
caso il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo come determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.».