I fondi pensione nell’anno di COVID-19: bene i rendimenti, faticano le adesioni

Nonostante la flessione registrata dai mercati finanziari nei primi mesi di pandemia, i rendimenti dei fondi pensione sono stati di tutto rispetto anche nel 2020. Secondo l’ultima Relazione annuale COVIP non altrettanto positive le adesioni, su cui continua a gravare un forte gap generazionale

Ancora troppo spesso, quando si parla di pensioni, erroneamente si tende a considerare e analizzare separatamente il primo e il secondo pilastro, tralasciando invece le importanti connessioni che esistono tra la previdenza pubblica obbligatoria e quella complementare. I cambiamenti nel mercato del lavoro, sempre più dinamico e spesso precario soprattutto per i più giovani, rischiano di complicare i nastri contributivi dei pensionati di domani, restituendo prestazioni che potrebbero non garantire un buon tasso di sostituzione (rapporto tra primo rateo pensionistico e ultimo stipendio) e, potenzialmente, comportando di conseguenza anche un aumento della spesa per assistenza.

È anche per questo motivo che è sempre più importante informare e incentivare l’adesione alla previdenza integrativa. Non solo per aggiungere una ulteriore rendita pensionistica al momento della quiescenza ma anche come vero e proprio strumento di risparmio di lungo periodo. I fondi pensione, proprio in virtù della loro funzione, sono infatti incentivati fiscalmente e risultano spesso più convenienti rispetto ai tradizionali prodotti di risparmio gestito, senza che questo impatti sui ritorni finanziari.

I fondi pensione superano la prova di COVID-19
Come evidenziato infatti dalla Relazione COVIP per l’anno 2020, nonostante lo scoppio della pandemia, i rendimenti dei fondi pensione sono stati positivi battendo mediamente la rivalutazione del TFR, uno dei parametri con cui vengono confrontati i ritorni delle diverse forme pensionistiche integrative. I rendimenti aggregati, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, sono stati in media positivi: i fondi negoziali hanno reso il 3,1%, i fondi aperti il 2,9% e le gestioni separate dei PIP di ramo I l’1,4%.

Le uniche a registrare un rendimento lievemente negativo sono state le gestioni unit linked di ramo III (-0,2%). A ogni modo, considerando che nel 2020 la rivalutazione del TFR si è attestata all’1,2%, si può apprezzare la convenienza e la bontà della gestione finanziaria dei fondi pensione.  Ma se dal punto di vista dei ritorni finanziari le diverse forme di previdenza complementare consolidano un percorso virtuoso che rispecchia gestioni di tutto rispetto, la loro diffusione resta ancora un punto dolente da toccare, perchè i numeri sugli iscritti restano una nota un po’ stonata
Gli iscritti  della previdenza complementare sono infatti poco meno di 8,5 milioni. In rapporto alle forze di lavoro (occupati + individui con almeno 15 anni di età in cerca di occupazione), si registra un tasso di partecipazione del 33% in aumento rispetto al 2019 (31,4%), variazione però attribuibile soprattutto alla diminuzione del denominatore, vale a dire alla diminuzione di occupati o persone che cercano lavoro. Inoltre, se si considerano solo gli iscritti che hanno versato contributi nell’anno, il tasso scende sotto il 25%. Insomma, una copertura previdenziale integrativa ancora troppo bassa per poter anche solo avvicinarsi a essere definita soddisfacente.
L’età media, nel 2020, ha raggiunto i 46,8 anni. La COVIP restituisce in particolare un’analisi degli ultimi 4 anni, rilevando che la percentuale della classe più giovane è rimasta invariata, mentre si è assistito a un progressivo spostamento dalle classi di età centrali a quelle più anziane. A far maggiormente riflettere è soprattutto una percentuale: solo il 17,4% degli aderenti ha meno di 35 anni, mentre il 51,6% appartiene alla fascia di età centrale (35-54 anni) e il 31% ha almeno 55 anni.

In conclusione, rimane quindi “scoperta” proprio la fascia che, come si diceva, avrà più bisogno di una prestazione pensionistica integrativa. Anche solo per questi motivi appare chiaro che iniziative volte a incrementare l’educazione finanziaria e previdenziale non possono essere più considerate solo una possibilità quanto piuttosto una necessità che si fa sempre più stringente.

Niccolò De Rossi

fonte: ilpuntopensionielavoro.it