Investire in un fondo pensione consentirebbe alle donne di ridurre il divario di genere, che ammonta a quasi il 30%, se si considera l’assegno dell’Inps, rispetto agli uomini che non aderiscono. A parità di condizioni, però, le lavoratrici rimangono pesantemente svantaggiate.
Il tasso di partecipazione delle donne alla previdenza complementare risulta pari al 28%, a fronte del 35,5% degli uomini. Eppure, dovrebbero tutelarsi di più anche perché più longeve
Il 41% degli iscritti a una forma di previdenza complementare investe nella linea garantita (la più cautelativa) mentre il 38% punta sulla bilanciata.
Il punto è di essere consapevoli del proprio futuro tenore di vita e agire per costruire un futuro adatto alle proprie esigenze.
Stando all’ultima Relazione annuale della Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione, appena il 33% della forza lavoro italiana risulta iscritta a una qualche forma di previdenza complementare. Un dato teoricamente in aumento rispetto al 2017 ma figlio in realtà di una crescita degli iscritti a fronte di una diminuzione della forza lavoro. E che tende ancor più a assottigliarsi quando si parla di donne e giovani. Il tasso di partecipazione degli under 35 alla previdenza complementare, infatti, risulta pari al 22,7%. Per le donne si parla di meno del 28%, che fa il paio con un tasso di partecipazione degli uomini del 35,5%. Se poi si guarda al sistema pensionistico di base, le donne contano oggi su una pensione media Inps pari al -31% rispetto a quella percepita dagli uomini. Conseguenza non solo di carriere differenti ma anche di carriere discontinue (quando si parla delle donne).
In Italia le donne tendenzialmente rimangono impiegate, mentre ci sono più quadri e più dirigenti uomini. Questo si riflette sulla retribuzione e sulla contribuzione. Discorso a parte merita l’effetto che diverse retribuzioni hanno a parità di ruolo. Anche nell’essere quadro, dirigenti e impiegate le donne possono soffrire di un divario retributivo. Il macrofenomeno è quello di una carriera più piatta, che si riflette in meno contributi lato Inps e, per forza di cose, in una minor pensione. A ciò ovviamente si possono aggiungere altri retaggi storici della nostra società, come possono essere maggiori buchi contributivi dovuti ad assenze come la maternità, vari congedi parentali o il part-time (tipicamente femminile).
Se poi si guarda alla previdenza complementare, le donne si tutelano di meno e si iscrivono di meno. Ma anche se agissero diversamente, il divario resterebbe incolmabile alle condizioni attuali. Oggi l’età media delle persone che aderiscono a un fondo pensione è di 46 anni. Il punto, aggiunge, non è raggiungere gli obiettivi di qualcun altro, ma essere consapevoli del proprio futuro tenore di vita e agire per costruire un futuro che lo si ritiene adatto alle proprie esigenze. Senza dimenticare il fatto che le donne dovrebbero tutelarsi di più perché godono di un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini. Si stima che nel 2050 gli uomini passeranno dall’attuale speranza di vita di 80 anni a 85. E le donne da 85 a 90. Questo è uno dei motivi per cui anche l’età pensionabile si sta lentamente alzando.
In Italia, tra l’altro, il 41% degli iscritti a una forma di previdenza complementare investe nella linea garantita (la più cautelativa), il 38% punta sulla linea bilanciata che unisce titoli di debito a titoli azionari e solo l’8% su quella azionaria. E le donne, numeri alla mano, hanno una minore propensione al rischio rispetto agli uomini. L’educazione finanziaria, non solo quella previdenziale, è auspicabile in questo contesto. Già solo la consapevolezza di alcuni concetti di base potrebbe spingere le donne a una gestione del proprio denaro più oculata e verso scelte più dinamiche. Non è sbagliato scegliere la linea d’investimento cautelativa. Purché sia coerente con i propri valori e non legata allo status quo o alla mancata comprensione del quadro generale.
fonte: wewealth.com