Longevity risk: vivere a lungo può mettere a rischio le pensioni

I governi devono garantire l’adeguatezza e la sostenibilità delle pensioni anche con i cambiamenti demografici e sconfiggere il longevity risk.
Il cambiamento demografico dovuto all’invecchiamento della popolazione eserciterà una crescente pressione sull’adeguatezza e sulla sostenibilità delle pensioni nell’immediato futuro, mentre le profonde trasformazioni dell’economia e del mondo di lavoro, come per esempio la rapida espansione del “lavoro agile” (c.d. smart working), pongono domande fondamentali sulla tenuta dei nostri sistemi di welfare, tra cui le pensioni. Le ricadute economiche e sociali della crisi del Covid-19, aggravate dall’inflazione e dal conflitto bellico in atto, avranno un impatto negativo negli anni a venire, specie sul reddito di vecchiaia.
E’ urgente che già da subito i governi e quello italiano per quanto ci riguarda, devono cominciare a pensare come garantire pensioni adeguate e come far si che l’adeguatezza si mantenga per tutta la durata del pensionamento per evitare una vecchiaia in progressiva
povertà aggravata, se così si può dire.

La crescente longevità con annesso pagamento delle pensioni per molti anni in più, unita alla riduzione della popolazione in attività lavorativa, con conseguente riduzione del gettito contributivo previdenziale non disegnano scenari futuri molto esaltanti .Tanto è vero che la previsione di vivere in maniera “esagerata” dopo il pensionamento viene chiamata “longevity risk, il rischio della longevità!

La durata della vita in pensione
La durata della vita in pensione, misurata dal momento in cui si riscuote la prima rata, dura in media poco più di 20 anni, circa la metà della vita lavorativa. Ma la possibilità esistente di uscire anticipatamente dal lavoro, introdotte di recente, anche se il numero dei richiedenti è stato meno numeroso di quello preventivato, hanno un impatto negativo per moti anni a venire anche se in maniera meno drammatiche.

Se prendiamo “quota 100” per esempio, secondo uno studio congiunto Inps e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, reso noto il 22/06/22, la spesa effettiva – di consuntivo sino al 2021 e proiettata dal 2022 al 2025 – potrà attestarsi a circa 23 miliardi. Si tratta di un importo inferiore di circa 10 miliardi rispetto ai 33,5 originariamente stanziati dal DL 4/2019.
Ciò nonostante, mantenere un tenore di vita adeguato durante la pensione rimane una sfida, in particolare per le donne.
Si cerca di introdurre nuove misure volte alla riduzione della povertà pensionistica.
Questo obiettivo deve essere affrontato principalmente introducendo o aumentando le pensioni di base/minime o pensioni di reversibilità, per le quali invece il ragionamento è tutto rivolto al contrario, sia per la pensione di cittadinanza che per quelle ai superstiti.
Sostenibilità
La sostenibilità è la fonte principale da cui discende tutto il sistema previdenziale. Di questo aspetto ne sono consapevoli sia l’Esecutivo che i sindacati.
La spesa previdenziale è indirizzata a due sostanziali funzioni:
– il pagamento di una rendita vitalizia ai lavoratori e loro superstiti. Si basa su uno schema assicurativo finanziato da entrate contributive poste a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori;
– la seconda, di natura assistenziale e solidaristica, è a carico dalla fiscalità generale e realizzano il welfare sociale. Nel sistema pensionistico italiano questa distinzione non è completamente chiara e la classificazione delle voci di spesa lascia ancora irrisolti vari dubbi interpretativi, nonostante la gestione dedicata al finanziamento della spesa assistenziale (GIAS) sia in funzione dal 1989. Tanto è vero che uno dei punti di scontro governo-sindacati è la separazione della spesa previdenziale da quella assistenziale. Per questa è stata creata addirittura un’apposita Commissione che non ha prodotto, ad oggi, alcunchè.
Per l’anno 2020, ancor più che nel 2019, i provvedimenti che hanno inciso particolarmente sia sulla spesa assistenziale sia su quella previdenziale derivano dalle misure introdotte dal D.L. n. 4/2019, vale a dire la cosiddetta Quota 100, e il Reddito di Cittadinanza nonché la proroga per l’APE sociale (l’anticipo pensionistico) e Opzione Donna.
Tuttavia, l’evento che ha prodotto effetti di maggior consistenza sulle pensioni è sicuramente da collegare alla pandemia da COVID-19.
Nel 2020 l’Inps ha risparmiato in spesa per pensioni 1,1 miliardi a causa dell’eccesso di mortalità per Covid . Secondo il Rapporto di Itinerari previdenziali si avrà fino al 2029 una spesa minore per 11,9 miliardi. “Il 96,3% dell’eccesso di mortalità registrato nel 2020 – si legge – ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate. Considerando per compensazione l’erogazione delle nuove reversibilità, si quantifica in 1,11 miliardi il risparmio, tristemente prodotto nel 2020 dal Covid a favore dell’Inps, e in circa 11,9 miliardi la minor spesa nel decennio“.

Questo elemento sarà tenuto conto nella prossima riforma delle pensioni. In Italia se ne fa una all’anno senza incidere sui problemi sopraccennati. Se il cambiamento demografico, con l’innalzamento dell’età media e la diminuzione dei lavoratori, sia perchè ne nascono di meno, sia perchè sostituiti sempre di più dalle macchine, non dovrà esimere i governi dall’assicurare una vecchiaia a tutti libera dal bisogno economico.