Con un’inflazione sopra l’8%, la Ragioneria Generale dello Stato e UPB, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, già nel giugno 2022, avevano fatto presente che la spesa aggiuntiva per le pensioni sarebbe stata non inferiore ai 25 miliardi di cui 8-10 miliardi della legge di bilancio per il 2023.
La Ragioneria Generale dello Stato da parte sua ha quantificato in un +0,7% del Pil questo aumento.
Così la percentuale della spesa pensionistica sul Pil sale al 16,2% invece di scendere al 15,7% come era stata previsto.
Questo scenario ha annullato il superamento della legge Fornero, l’introduzione della ” Quota 41″ a prescindere dall’età come aveva promesso la Lega, la 14esima rafforzata chiesta dal Pd, lo stop del meccanismo di adeguamento delle pensioni all’aspettativa di vita, nonchè il pacchetto di aggiustamenti che si stava delineando con il tavolo governo(Draghi)-Sindacati.
Non solo, ma i provvedimenti adottati sono molto più draconiani di quelli che si pensavano, a danno, inutile dirlo, dei pensionati in genere e di una fascia in particolare. In contemporanea sull’altro piatto della bilancia l’incredibile regalo agli autonomi che fatturano 85.000 euro con la flax tax al 15%!
Più volte si è affermato che dopo gli interventi Amato-Dini dal 1992 al 1995 che hanno messo in sicurezza il sistema pensionistico italiano, le pensioni vengono usate come un bancomat per soddisfare esigenze che spesso con le pensioni non hanno niente a che fare, oppure togliere qualcosa ai pensionati ritenuti ricchi per dare giustamente qualcosina a quelli poveri, scontentando gli uni e gli altri, perché poi ai poveri di concreto arrivava una decina di euro mensili in più, mentre agli altri il taglio non viene più reintegrato. Sempre meglio che un pugno in faccia intendiamoci, ma il risultato complessivo è gramo.
L’arma utilizzata per questo tipo di operazioni è stata la manipolazione della perequazione.
Ricordo che ante Giuliano Amato, la perequazione era trimestrale e veniva calcolata non solo sull’inflazione ma anche sulle variazioni dei contratti collettivi. Poi divenne annuale e basta, togliendo ogni collegamento con i contratti collettivi.
Il governo Monti Fornero nel 2011 fu fra i primi a cambiare il sistema perequativo pensionistico della legge Dini, poi lo hanno seguito Renzi, Gentiloni, Letta e Conte. Draghi voleva tornare alle origini, ma la Meloni ha preferito il ritorno al passato, se no che conservatrice è! Così si propone di tagliare 3,5 miliardi nel 2023, che diventeranno 17 miliardi in meno nel triennio secondo Itinerari Previdenziali.
La rimodulazione della percentuale di rivalutazione, che alza dall’80% all’85% le pensioni tra 4 e 5 volte il trattamento minimo, è insignificante: otto euro lorde al mese in più di media. E non si tratta di pensioni d’oro, ma di pensioni di normali impiegati o di operai specializzati con 40 anni di contributi, che sono quelli che hanno pagato di più in tasse e contributi.
Non solo, ma dal 2012 una quota di pensione è calcolata con il metodo contributivo, che prevede la rivalutazione piena degli assegni pensionistici, cosa che fa pensare ad elementi di incostituzionalità.
Un’altra cosa da tener presente è il sistema scelto per calcolare la riduzione. Sarà calcolata per fasce e non per scaglioni come si fa per l’Irpef, creando così un ulteriore squilibrio nel sistema.
Col fine nobile di aiutare chi sta indietro ( ma in realtà per finanziare la flex tax), si colpisce così una fascia di reddito impoverita nel tempo ma considerata ancora abbiente. Essa in realtà ai fini Irpef è troppo ricca per aver diritto ai vari bonus come quelle sulle bollette, la possibilità di fare domanda per avere un alloggio popolare, e troppo poveri per poter accedere alle prestazioni o interventi sociali medio alti, come comprare una casa, accedere alla sanità integrativa, perché il loro potere di acquisto nel corso degli anni si è progressivamente impoverito. Inoltre i tagli effettuati dal prossimo gennaio, mai reintegrati, saranno a vita.