Sostiene Itinerari Previdenziali che nel 2022 l’Italia ha speso per pensioni, sanità e assistenza 559,513 miliardi di euro di cui la spesa per prestazione sociali ha assorbito oltre la metà, il 51,65%. Rispetto al 2012, e dunque nell’arco di un decennio, la spesa per welfare è aumentata di ben 127,5 miliardi strutturali (+29,4%). Invece si mantiene stabile quella per prestazioni previdenziali, il cui dato reale è il 12,97% del PIL. Questo dato è in linea con la media europea ma essendo indistinto rispetto alla spesa assistenziale ci pone al rischio di dover subire qualche altra penalizzante riforma delle pensioni. Ed i motivi non mancano a partire dalla crisi demografica ed al cosiddetto longevity risk .
Questo problema sollevato da tempo riporta in evidenza l’urgente necessità di separare la spesa previdenziale pura, che si finanzia con il versamento di contributi da parte di imprese e dipendenti da quella assistenziale, che dovrebbe gravare invece totalmente sulla fiscalità generale.
Per questo scopo non si contano più i numerosi tavoli tecnici istituiti, nessuno dei quali ha portato a termine un qualsiasi risultato.
Tanto per fare un esempio le somme accantonate per il tfr che è salario differito, confluisce nella spesa previdenziale invece aumentando significativamente la percentuale del pil. Già la sola affermazione di questa segnalazione potrebbe dare margini di manovra per la mitica pensione adeguata per i lavoratori post 1996, quelle interamente contributivi, per intenderci.
Nel complesso, la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) è stata nel 2022 pari a 247,588 miliardi, per un’incidenza sul PIL del 12,97%, in riduzione rispetto al 13,42%.
Senza trascurare anche i circa 59 miliardi di imposte (IRPEF) che in molti Paesi dell’Unione o di area OCSE sono molto più basse, quando non del tutto assenti sulle pensioni.