La relazione della Covip sui fondi pensione per il 2023 è cautamente ottimista, ma solo il 36% dei lavoratori si iscrive

Si è tenuta il 19 giugno 2024 a Roma presso la Camera dei Deputati la presentazione della Relazione Annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2023.
Oltre a illustrare lo stato dei settori vigilati (fondi pensione e casse di previdenza) – le cui risorse, alla fine del 2023, sono complessivamente pari a circa 338 miliardi di euro – la Presidente facente funzione della COVIP, Francesca Balzani, si è soffermata sulle prospettive evolutive di tali settori.

Alla fine del 2023, i fondi pensione in Italia sono 302: 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 161 fondi pensione preesistenti. Il consolidamento del sistema non subisce interruzioni, in particolare nel settore dei fondi preesistenti che nel 2023 si sono ridotti di ulteriori 30 unità.

A fine 2023, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,6 milioni, in crescita del
3,7% rispetto all’anno precedente pari al 36,9% della forza lavoro.
I fondi negoziali contano 3,9 milioni di iscritti (+5,4% rispetto al 2022).
Sono 1,9 milioni gli iscritti ai fondi aperti (+5,9%) e 3,9 milioni quelli ai PIP (+1,7%); 656.000 sono
gli iscritti ai fondi preesistenti.
Con riferimento alla composizione degli iscritti gli uomini sono il 61,7% (il 72,7% nei
fondi negoziali), confermando il gap di genere. Nelle forme di mercato le donne raggiungono il
42,6% nei fondi aperti e il 46,6% nei PIP.
In base all’età gli iscritti sono prevalentemente concentrati nelle classi intermedie e più prossime
al pensionamento (gap generazionale): il 47,8% degli iscritti ha un’età compresa tra 35 e 54 anni,
il 32,9% ha almeno 55 anni.
Pur attestandosi ancora su percentuali inferiori, negli ultimi anni il peso dei più giovani (fino a 34 anni) è comunque cresciuto, passando dal 17,6% del 2019 al 19,3% del 2023.
Rispetto all’occupazione, il 37,6% dei lavoratori dipendenti aderisce a forme complementari contro
il 23,5% dei lavoratori autonomi.

Quanto all’area geografica, il tasso di partecipazione supera la media nazionale nelle regioni settentrionali, soprattutto laddove l’offerta previdenziale è integrata da iniziative di tipo territoriale; valori più bassi e decisamente inferiori alla media si registrano, invece, in gran parte delle regioni
meridionali.

Alla fine del 2023, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 224,4 miliardi di euro, con un incremento del 9,1%. Le risorse accumulate sono pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.
I fondi negoziali detengono il 30,2% del totale delle risorse, i fondi aperti il 14,5% e i PIP il 25,3%; il peso dei fondi preesistenti è pari al rimanente 30% del totale.
I contributi incassati nell’anno sono pari a 19,2 miliardi di euro (+5,2% rispetto al 2022), in crescita in tutte le forme pensionistiche complementari.
Sulle posizioni dei lavoratori dipendenti sono confluiti 15,8 miliardi di euro di contributi, in crescita di 961 milioni rispetto all’anno precedente. Di questi, 7,8 miliardi di euro riguardano quote di TFR; i contributi a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro sono pari, rispettivamente, a 5 e 2,9 miliardi di euro. Per i lavoratori autonomi sono confluiti versamenti per 1,7 miliardi di euro, 29 milioni in più
rispetto al 2022.

Nelle regioni del Nord le contribuzioni medie sono più elevate, con punte che sfiorano i 3.500 euro, il doppio rispetto a molte regioni del Mezzogiorno.
Gli iscritti non versanti, pari a circa 2,6 milioni, sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi. Una parte cospicua è anche costituita da lavoratori dipendenti iscritti a fondi pensione negoziali con modalità contrattuale, con particolare riguardo a settori, come quello edile, il cui bacino è caratterizzato da elevata discontinuità occupazionale.
Nel 2023 le uscite per la gestione previdenziale ammontano complessivamente a 11,6 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,5 miliardi di euro e in rendita per 401 milioni di euro. I riscatti sono stati pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,5 miliardi di euro. Nell’anno sono stati pagati circa 1,9 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più dai fondi pensione preesistenti.

Gli investimenti dei fondi pensione sono prevalentemente allocati, per il 56% in obbligazioni governative e altri titoli di debito. I titoli di capitale sono pari al 21,4% del totale mentre le quote di OICR al 15,8% del totale. I depositi si attestano al 5%; gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, si attestano all’1,8% del totale.
Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli di Stato, titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 36,6 miliardi di euro, pari al 19,4% del totale a fronte del 20,8% del 2022 (35,5 miliardi di euro).

Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono stabili rispetto all’anno precedente (2,4% delle attività). Tali valori riflettono anche la peculiare struttura del tessuto industriale italiano e il livello complessivamente limitato della capitalizzazione del mercato
finanziario nazionale, elemento strutturale che purtroppo persiste, anche nel confronto con altri Paesi europei.
In questo contesto si registra una crescente attenzione da parte del settore sulle tematiche connesse all’investimento nel sistema Paese. Numerosi fondi stanno ampliando le proprie strategie di investimento a favore di titoli non quotati, di private equity e di private debt.

Nel 2023 la dinamica positiva dei mercati finanziari si è riflessa sui rendimenti di tutte le tipologie di linee di investimento, recuperando le perdite subìte nell’anno precedente.
Anche i comparti obbligazionari hanno registrato nell’anno rendimenti positivi: gli obbligazionari misti hanno ottenuto il 7,2% nei fondi negoziali e il 4,4% nei fondi aperti; risultati positivi, ma inferiori, si sono registrati in media anche nei comparti obbligazionari puri e in quelli garantiti.
Una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale non può tuttavia limitarsi ai rendimenti di un solo anno, ma deve fare riferimento a orizzonti più lunghi e coerenti con i vincoli temporali che a esso si applicano in ragione degli obiettivi perseguiti.
Su un periodo di osservazione decennale (da fine 2013 a fine 2023), i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,2 e il 4,5%, superiori al rendimento medio delle linee obbligazionarie e anche al tasso di rivalutazione del TFR (pari al 2,4% nel decennio). Le linee bilanciate mostrano rendimenti medi che vanno dall’1,9% dei PIP di tipo unit linked al 2,7% dei fondi negoziali e al 2,9% dei fondi aperti.