Potrebbe essere, ma il longevity risk ben governato non è… rischioso
Uno dei maggiori spauracchi dei sistemi assicurativi sulla vita, includendo anche i sistemi di sicurezza sociale sia pubblici che privati, perché entrambi si basano sui principi del contratto aleatorio, è il rischio di longevità, il Longevity risk e consiste nell’eventualità di un numero medio di anni di sopravvivenza più alto della media statistica.
I gestori di rendite vitalizie, come gli enti pensionistici, le assicurazioni ed i fondi di previdenza complementare, sono obbligati a quantificare accuratamente l’impatto del trend della mortalità sulle rendite offerte, allo scopo di governare il rischio che ne discende.
I miglioramenti della sopravvivenza causano un effetto di carico sui pagamenti che gli enti si trovano a dovere soddisfare.
Pertanto è necessario accantonare le risorse a copertura di costi futuri, immobilizzandole per un dato periodo di tempo che potrebbero essere diversamente impiegate invece di rimanere infruttuose.
La direttiva Solvency II intervenuta sull’argomento, all’art.105 così definisce il Rischio di longevità: “il rischio di perdita o di variazione sfavorevole del valore delle passività assicurative, derivante da variazioni del livello, della tendenza o della volatilità dei tassi di mortalità, laddove un calo del tasso di mortalità dà luogo ad un incremento del valore delle passività assicurative” .
In vigore dal primo gennaio 2016, la nuova direttiva Solvency II ha lo scopo di estendere la normativa di Basilea II al settore assicurativo, introducendo un nuovo regime di vigilanza con l’obiettivo di fornire un quadro regolamentare rivolto non solo alla massima tutela di chi usufruisce del servizio assicurativo, ma anche alla creazione di strumenti che permettano alle autorità di vigilanza di valutare la solvibilità delle imprese.
Più in dettaglio, Solvency II si articola secondo i cosiddetti tre pilastri.
Il primo – relativo ai requisiti patrimoniali delle imprese – è costituito dalle norme per il calcolo delle riserve tecniche, il secondo si riferisce alle regole in materia di governance d’impresa, infine il terzo, dedicato alla trasparenza, riguarda la vigilanza e gli obblighi di informazione delle imprese verso l’Autorità di controllo e il mercato.
I trend demografici che determinano il longevity risk sono l’allungamento dell’età della vita e la diminuzione delle nascita (invecchiamento della popolazione), incremento del peso percentuale degli anziani ( aumento delle rate delle rendite, aumento della spesa sanitaria, aumento dei costi per servizi di assistenza alla terza età).
A questo punto scatta il processo di risk management, cioè come governare l’aumento dell’aspettativa o speranza di vita.
Il rischio viene misurato con modelli deterministici o stocastici in modo da gestire il rischio o tramite tecniche di controllo delle perdite oppure tecniche di finanziamento delle stesse. Un management responsabile del rischio di longevità implica che le forme di previdenza pubbliche o private devono saperlo misurare e gestire.
Ma come si gestisce il rischio della longevità: Una bella domanda. Le compagnie di assicurazioni molte volte per far fronte a questo rischio si riassicurano, procedura non possibile per l’Inps, tranne il prevedibile ricorso alla fiscalità generale. Per riassicurarsi dovrebbero versare un premio incommensurabile. Quindi le strade da percorrere sono altre. Non bastano misure emblematiche come la riduzione delle pensioni d’oro o i vitalizi, bisogna operare, come si diceva una volta modifiche strutturali. Innanzitutto per quanto attiene le pensioni pubbliche si dovrebbe uscire dalla rigidità dello schema assicurativo ed introdurre elementi di solidarietà che sono esclusi dal sistema contributivo a ripartizione o nozionale.
Ed è un tentativo che si cerca di fare con l’introduzione della pensione di garanzia che è cosa concettualmente diversa dalla pensione di cittadinanza, in quanto la pensione di garanzia mantiene l’impianto assicurativo, quindi il rapporto sinallagmatico fra contributi e prestazioni, ma lo integra con interventi esterni come quello per esempio di integrare i periodi di vuoti contributivi eccetera. Ma una risposta più ragionata può venire dal frazionamento del rischio. Non può essere legato solo alle coorti di età, come si fa oggi nel rilevavate l’aspettativa di vita alla nascita, al compimento dei 60 o 65 anni, ma deve essere riferito anche ai mestieri, ciò a prescindere dalla necessità di rivedere il sistema di calcolo dei coefficienti di trasformazione. O alla costituzione di un fondo a capitalizzazione come si sta cercando di fare in Germania, una specie di fondo Inps, non il Fondo pensione complementare INPS (FONDINPS) soppresso ai sensi dell’articolo 1, comma 173, della legge n. 205/2017 il 30 settembre 2020.