Umarell: Le considerazioni grame dei pensionati

Come vivere una vita serena in pensione senza angoscia e senza affanni, sentire a fianco la società e le istituzioni senza sentirsi un peso inutile che divora risorse.

Oggi giustamente ci si preoccupa di come riuscire avere una pensione adeguata ai propri bisogni economici senza causare squilibri alle finanze pubbliche e per questo si punta generalmente sulla previdenza complementare. Ma quand’anche così fosse, pochi si preoccupano delle esigenze di chi poi è andato in pensione.

I pensionati sono una massa sterminata, 17 milioni mentre i lavoratori attivi sono 23 milioni ed il potere politico è inversamente proporzionale al loro numero. Più aumentano e meno contano. Correlati al calo delle nascite si aprono scenari di cui pochi si preoccupano, men che mai i pensionati attuali.  D’altra parte, perché dovrebbero.

La vita difficile e complicata

Finiti i tempi in cui i pensionati erano considerati soggetti degni di riconoscimento civico per il loro contributo dato per lo sviluppo della società, oggi sono considerati più o meno un peso sociale ed economico, al di là delle dichiarazioni che si fanno nei convegni ufficiali. Ma sono soccombenti anche come autonoma forza di pressione politica al di fuori dei partiti politici esistenti. Fino a qualche anno fa pullulavano partiti e movimenti specifici per i pensionati ed oggi anche queste esperienze ruspanti sono naufragate. Viceversa vanno ancora forte i sindacati dei pensionati confederali, non solo per le meritorie attività di patronato che vedrebbe soccombenti milioni di cittadini anziani di fronte all’indifferente schermo di un qualsiasi device (PC, tablet, smartphone)che ha sostituito l’impiegato dell’Inps che prima interagiva con il cittadino, oggi utente e domani semplicemente cliente, ma anche per le attività sociali di gruppo che questi sindacati organizzano.

Prospettive desolanti

Ma oltre queste benefiche eccezioni, il quadro è desolante, anzi, di fronte al caos internazionale, e nonostante le risorse sono poche, l’idea che va forte fra i ben pensanti “intellettuali” è quella della necessità inderogabile di costruire un esercito europeo portando la spesa pubblica al 5% del Pil.  Più soldi per la difesa si possono trovare riducendo il welfare affermando. E’ illusorio puntare sulla lotta all’evasione. Qualcosa si può sempre fare e qualcosa ma secondo il dato fornito da Itinerari previdenziali ai cittadini che dichiarano redditi negativi, da 0 fino a 15mila euro,  pari a 25 milioni (il 42%), il solo costo della sanità ammonta a 52,696 miliardi, dove si vanno a reperire? Oggi si reperiscono dai percettori di reddito più elevato. Il15,27% della popolazione che dichiara redditi da 35mila euro in su versa il 63,4% dell’IRPEF. La classe di reddito tra 20 e 29mila euro (18,13% del totale contribuenti) è di fatto autosufficiente per la sanità.

Le due classi “benestanti” stanno subendo un processo di continuo depauperamento che le avvicina a quella della prima fascia.

No alla diminuzione del Welfare

Dove trovare allora le risorse? Mettere nuove tasse è impensabile, fare nuovo debito pubblico per via dello Spread è altrettanto illusorio.

Ma non può restare come alternativa la strada dei tagli del welfare: dall’istruzione all’assistenza, dalla sanità alle pensioni. 

Non sarebbe per niente facile. La diminuzione del welfare avrebbe immediate conseguenze disastrose sulla nostra vita civile:

  1. Aumento della povertà e delle disuguaglianze: Ridurre i fondi destinati al welfare porta a un ulteriore aumento della povertà e delle disuguaglianze sociali, poiché molte persone dipendono dai servizi di assistenza sociale per soddisfare le necessità di base.
  2. Impatto sulla salute: La riduzione dei servizi sanitari pubblici potrebbe portare a un peggioramento della salute generale della popolazione, con un aumento delle malattie e una diminuzione dell’aspettativa di vita.
  3. Effetti sull’istruzione: Tagliare i fondi per l’istruzione pubblica limita ancora di più l’accesso all’istruzione di qualità per molti, riducendo le opportunità di crescita personale e professionale.
  4. Riduzione della coesione sociale.