Il 12 giugno 2025, è stato approvato il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva della Commissione Bicamerale che indica come sviluppare maggiormente la previdenza complementare: meno tasse, investimenti e life cycle.
Nella sua relazione finale, approvata all’unanimità, la Commissione Bicamerale di Vigilanza sugli enti previdenziali, rileva come alla fine del 2024 quasi il 37 % dei lavoratori è iscritta alla previdenza complementare. E’ un dato rilevante, ma il passaggio al metodo di calcolo contributivo della pensioni, che pone un noto tema di adeguatezza delle prestazioni, pone l’esigenza di un maggiore sviluppo della previdenza integrativa.
Si ricorda che una pensione si definisce “adeguata” quando consente ai pensionati una indipendenza economica ed un tenore di vita dignitoso almeno come quando lavorava.
Per favorire un ulteriore incremento delle adesioni, il Rapporto della Commissione segnala due aspetti.
Il primo riguarda la possibilità di prevedere un meccanismo di recupero della differenza positiva tra la soglia di deducibilità della contribuzione a tali forme pensionistiche e l’importo effettivamente portato in deduzione; ciò sarebbe un incentivo per
coloro che, al momento dell’iscrizione, non dispongono di un reddito sufficiente per allocare oltre la soglia prevista (€ 5.164,57) a titolo di risparmio previdenziale, con la prospettiva di recuperare tali somme in momenti successivi della carriera lavorativa. Peraltro nel caso di soggetti fiscalmente a carico (in particolare i figli), tale limite di deduzione dovrebbe aumentare per tener conto del numero dei soggetti iscritti alla previdenza complementare in modo da incentivare la creazione di una prestazione pensionistica complementare adeguata. Infatti, in prospettiva, il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria – ossia il rapporto tra la prima rata annua di pensione e l’ultima retribuzione annua percepita – potrà raggiungere valori inferiori al 60 per cento, specie nel caso di carriere più discontinue.
In proposito, si segnala che la “riforma Dini” fissava nel 61,4% al lordo e nel 68% al netto dei contributi rispetto all’ultima retribuzione un tasso di sostituzione definito come “socialmente irrinunciabile”.
Il secondo riguarda la fase di erogazione della rendita (al momento del pensionamento), per la quale l’ordinamento prevede il ruolo esclusivo delle assicurazioni e l’obbligo per il beneficiario di effettuare una scelta “secca” tra l’opzione della rendita vitalizia, con conseguente applicazione delle tabelle di conversione in rendita del montante accumulato, e quella del ritiro del capitale che, a seconda delle condizioni, può essere parziale o totale. L’indagine ha anche evidenziato che la durata delle convenzioni di assicurazione è generalmente di 3/5 anni e quindi inferiore alla durata del periodo di contribuzione (in media 25/30 anni). Tale gap temporale rende possibile, in danno dell’iscritto, il peggioramento delle condizioni economiche successivamente all’atto di adesione al fondo.
Sono emerse altresì situazioni in cui le assicurazioni applicano coefficienti di trasformazione del capitale accumulato in rendita più “penalizzanti” rispetto a quelli utilizzati dall’INPS.
Pertanto si dovrebbe consentire al fondo pensione di erogare direttamente la prestazione pensionistica sotto forma di prelievi programmati (senza il coinvolgimento delle assicurazioni) in analogia con quanto avviene per la RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata), misura introdotta nel 2017. In particolare, la RITA consente di richiedere al proprio Fondo Pensione di ricevere in anticipo il capitale maturato, che viene rimborsato in rate a partire dall’accettazione della richiesta e fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia.
Passando all’analisi della redditività, si è visto che essa non risulta adeguata, in termini di superamento del benchmark della rivalutazione del TFR, per tutti i comparti delle forme di previdenza complementare. Pertanto, al fine di ottenere migliori risultati, potrebbe risultare opportuno superare il vigente meccanismo di silenzio-assenso in favore delle linee garantite, adottando un possibile approccio qualitativo al binomio rischio-rendimento, basato sui cosiddetti modelli di “life-cycle”. In particolare, in caso assenza di una scelta esplicita, esso sarebbe collocato nei diversi comparti in maniera dinamica, esponendolo a maggiori rischi, in favore di maggiori rendimenti attesi, nelle fasi più lontane dall’età del pensionamento, per poi passare a linee più prudenti all’approssimarsi del pensionamento in modo da mitigare i rischi.

