Una recente sentenza della Cassazione ha fatto chiarezza sul diritto alle quote del Tfr in caso di divorzio. Se il coniuge si iscrive ad un fondo pensione prima della domanda di divorzio, l’altro coniuge perde il diritto alla sua quota del 40%. Rimane il problema della quota di Tfr maturata fra l’inizio del lavoro e quella di adesione al Fondo. Ora occorre una disposizione che tuteli il coniuge più debole.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 20132, depositata il 18 luglio 2025, ha stabilito che se il TFR viene conferito a un fondo di previdenza complementare prima che venga depositata la domanda di divorzio, l’ex coniuge perde ogni diritto a richiederne una quota.
Il TFR, è salario differito e non riveste natura previdenziale finché rimane accantonato in azienda o presso il fondo di tesoreria INPS, e qu questo elemento che fino ad ora si è fondato il diritto dell’ex coniuge a richiederne una quota.
Però quando il lavoratore decide di aderire ad una forma di previdenza complementare legittimamente, la somma fino a quel momento accantonata, smette di essere salario differito e diventa contributo previdenziale destinato a diventare una futura pensione integrativa. La Cassazione, con questa sentenza, ha chiarito che se questa “trasformazione” avviene prima dell’inizio della causa di divorzio, l’altro coniuge non può pretendere niente perché di fatto e di diritto il Tfr non esiste più.
Se tutto ciò è giuridicamente ineccepibile la decisione apre una serie di problemi che dovranno trovare una soluzione in altra sede. I problemi in particolare son o essenzialmente due: la tutela del coniuge più debole, perché l’altro coniuge potrebbe pianificare l’adesione alla complementare al solo fine di non ristorare l’altra persona e se sulla quota di Tfr accantonata fra la data dell’inizio del rapporto di lavoro e l’adesione alla complementare, i diritti previsti dall’ articolo 12-bis della legge sul divorzio può essere ancora applicata.

