Per rendere sostanziosa l’integrazione offerta dalla previdenza complementare non basta il Tfr ed il contributo aziendale. Occorre mettere qualcosa aggiuntivo. Il problema è facile per i lavoratori “solidi”, ma è difficoltoso per quelli “fragili”.
In Italia ci si dibatte sul mancato sviluppo della previdenza complementare), lamentandosi in genere che il secondo pilastro non decolla perché manca la cultura finanziaria e la visione del futuro. Sono dei falsi problemi, perché in Italia i due pilastri sono sempre esistiti, fin da quando è stata istituita la buonuscita, poi diventata TFR, in caso di perdita del lavoro. Il lavoratore italiano in genere al pensionamento ha diritto alla pensione e ad una somma di denaro messa da parte dall’azienda o Inps durante la sua vita lavorativa.
Questo scenario esiste solo in Italia ed è un elemento che le statistiche, comprese quelle dell’Ocse, in genere trascurano oppure lo includono erroneamente nelle spese pensionistiche, facendole aumentare a dismisura, mentre si tratto di salario messo da parte anno per anno e rivalutato.
È talmente radicato il concetto della buonuscita che il 99% degli iscritti alla previdenza complementare, non optano per la rendita integrativa di pensione, ma si prendono il capitale accumulato, che rispetto al TFR ordinario, è più ricco (leggermente).
Ora per rendere più concreta ed appetibile l’integrazione pensionistica, bisogna agire su altri strumenti: Itinerari previdenziali ne suggerisce alcuni.
In particolare, una delle maggiori criticità riguarda il nodo di come incentivare non solo l’adesione ma anche, e soprattutto, la contribuzione alla previdenza complementare se si vuole garantire una integrazione pensionistica che ne valga la pena, soprattutto per le categorie più “fragili”. Come sottolineato anche dal Presidente COVIP Mario Pepe, «nel complesso, la partecipazione alla previdenza complementare risulta ancora caratterizzata da un netto dualismo. Continuano a prevalere le adesioni di lavoratori “forti”, occupati nelle regioni settentrionali o centrali, di genere maschile e di età matura. Resta difficoltoso l’ingresso delle fasce più deboli di lavoratori, più giovani, di genere femminile e residenti nelle aree meridionali».
La Covip ribadisce un noto problema, ma non indica soluzioni.
Bisogna versare di più nel salvadanaio della complementare
Tralasciando il tema degli iscritti non versanti (pari a circa il 28% del totale), tra i versanti la contribuzione media risulta essere di 2.890 euro con variazioni significative in base all’età, il genere e la regione di residenza, influenzando di conseguenza anche l’ammontare delle risorse accumulate. Nel complesso, l’88% degli iscritti versa contributi al di sotto del limite di deducibilità fiscale di 5.164 euro, di cui circa il 60% versa meno di 1.000 euro. Il capitale medio pro capite si attesta a 24.330 euro, con importi tendenzialmente più elevati all’avvicinarsi del momento della prestazione. Tuttavia, la posizione individuale accumulata in media dalle fasce più prossime alla pensione si attesta comunque su importi piuttosto modesti e non tali da consentire una significativa integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, facendo quindi venir meno la finalità principale della previdenza complementare. Tra i 60 e i 64 anni la posizione individuale media è di circa 28.800 euro nei fondi negoziali, 29.400 nei fondi aperti e 20.300 euro nei PIP; solo per i fondi preesistenti assume importi più consistenti, in media pari a 173.900 euro.
A livello generale, il 3,5% del totale degli iscritti ha una posizione individuale nulla, il 21,9% ha una posizione inferiore a 1.000 euro, il 29,4% tra 1.000 e 10.000 euro e un altro 21,8% tra 10.000 e 30.000 euro; solo il 4,5% supera 100.000 euro. Brutalmente per una rendita decente si deve versare oltre al Tfr ulteriori contributi dai 100/200€ mensili, perché l’attuale 1% dello stipendio previsto è insignificante. Naturalmente questa cifra non è nelle possibilità dei lavoratori “deboli” o fragili e costoro aspireranno al massimo a conquistare una pensione Inps sufficiente a vivere in vecchiaia ( cosa al momento non sempre garantita!). per superare questo gap, da tempo si parla di una pensione di garanzia ai giovani, che nel frattempo stanno diventando vecchi.

