Martedì 14 giugno 2016 c’è stato il secondo round tra governo e sindacati su pensioni e lavoro. Presenti il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, i segretari generali di Cgil, Susanna Camusso, Cisl, Anna Maria Furlan e Uil, Carmelo Barbagallo. L’incontro segue la riunione del 24 maggio scorso, nella quale si era fatta una prima panoramica. Sono stati già fissati anche i successivi incontri.
Le questioni da affrontare sono numerose: dalla rimodulazione dell’attuale legge sulla previdenza alla difesa della reversibilità, dall’utilizzo dei  voucher ( di cui è stato adottato un primo provvedimento)agli ammortizzatori sociali, dai fondi pensioni alla governance dell’Inps, alle uguali detrazioni fiscali per lavoratori dipendenti e pensionati, l’estensione degli 80 euro ai pensionati (già annunciata dal premier Renzi), e altre misure riguardanti la ricongiunzione tra periodi contributivi di gestioni diverse, la disciplina dei lavori usuranti e la separazione tra previdenza e assistenza.
Finalmente si può partire con questo confronto sul cambiamento della legge Fornero sulle pensioni e sui temi aperti dal mercato del lavoro,  e ancora una volta sui temi della precarietà”. Aveva detto prima dell’incontro  lunedì 13 giugno  a Venezia Susanna Camusso, aggiungendo che  “non si può mantenere in fibrillazione un sistema come quello previdenziale. Bisogna dare certezze”.
Ma l’incontro è stato incentrato tutto e solo sul prestito previdenziale dopo che è stato chiarito subito che la legge Fornero non si tocca.
L’idea del prestito previdenziale non è stato respinta al mittente come illogica ed ulteriore elemento di sottrazione del welfare alla solidarietà collettiva in favore di risposte individuali, ma ha avuto una sostanziale accettazione.
Tanto è vero che si continuerà a discutere su questa impostazione magari strappando qualche risultato di facciata.
Questo innesterà problemi di ulteriore insoddisfazione. I lavoratori in sostanza chiedono di poter andare in pensione prima, volendolo e a certe condizioni, rinunciando ad un poco di pensione.
Invece non sarà così anche se  l’obiettivo del governo è concludere il confronto prima della Legge di stabilità, in modo che le nuove misure a cominciare dalla flessibilità, possano entrare  in vigore nel 2017.
L’attuale proposta dell’esecutivo è l’Anticipo pensionistico (Ape) per i nati tra il 1951 e il 1953 con contribuzione prima del 1996.
Questi potranno beneficiare di un’uscita anticipata rispetto ai 66 anni e 7 mesi canonici anticipando il termine di uno, due o tre anni. Centrale il ruolo dell’Inps, che certificherà in primis il diritto alla pensione e gestirà i rapporti con banche e assicurazioni che garantiranno i capitali (per evitare di far pesare la manovra sulle casse pubbliche). Sarà il singolo lavoratore a decidere, a sua discrezione e a seconda delle sue esigenze, se ricevere in anticipo dall’Inps l’intero importo della pensione che andrà poi a maturare o una cifra inferiore. Il prestito, che sarà assistito da una garanzia senza pegni reali e che in caso di premorienza non prevede alcuna rivalsa sugli eredi, verrà poi restituito in 20 anni con gli interessi. Per attenuarne il costo, soprattutto a favore dei redditi più bassi, il governo introdurrà una specifica detrazione fiscale allo scopo di alleggerire il peso della rata di ammortamento. L’idea è di stanziare per i primi 3 anni circa 7-800 milioni di euro l’anno per poi valutare flussi ed eventuali aggiustamenti. Il coinvolgimento degli istituti finanziari delle banche e delle assicurazioni — avrebbe spiegato Nannicini non viene fatto per una questione ideologica ma nasce esclusivamente dal rispetto dei vincoli di bilancio ( imposti in sede UE, ndr) visto che la stima dei costi previsti per la flessibilità in uscita è di 10 miliardi.
Gli  interessati saranno suddivisi in tre fasce:
chi sceglie l’anticipo perché è rimasto senza lavoro,
chi lo sceglie volontariamente
chi lo fa su richiesta dell’azienda, che in questo caso si farà carico dei costi dell’anticipo.
A seconda della tipologia  la detrazione potrà essere più o meno importante. Il governo ipotizza che con 3 anni d’anticipo la rata possa arrivare sino al 15% della pensione ( cioè una diminuzione del 15%). Tuttavia, secondo i calcoli della Uil, chi andrà in pensione con 3 anni di anticipo dovrà pagare una «penale» sotto forma di rata per la restituzione dell’anticipo di importo pari al 20% dell’assegno netto.
In pratica – spiegano al sindacato – con una pensione media di 1.000 euro si dovrà pagare una rata di 199 euro al mese per 13 mensilità per 20 anni (il prestito erogato sarebbe infatti di 39.000 euro). Con una pensione di 2.500 euro netti e un tasso di interesse al 3% (questa è l’ipotesi di base) la rata sarebbe di 499,10 euro al mese, in pratica il 20% dell’assegno originario (il prestito infatti ammonterebbe a 97.500 euro).
Nannicini, il vero protagonista della riunione con Poletti ridotto al ruolo di spalla anche quando non  c’è Boeri che si è detto subito favorevole all’operazione. Per chi ha perso il lavoro o rischia di perderlo – ha spiegato ieri il Governo – dovrebbero esserci detrazioni fiscali che ridurranno la percentuale in modo significativo.
Poiché la pensione si calcolerebbe sul montante maturato alla data del pensionamento con il coefficiente spettante all’età prevista dalla Fornero, più conveniente, basterebbe calcolare la pensione sul coefficiente relativo del pensionamento per evitare tutto questo marchingegno, anche perché se la speranza di vita è di 81 anni, statisticamente il 90% dei richiedenti non riuscirà a restituire il debito contratto. I conti sono facili. Se si va in pensione a 63 anni e si prende un prestito da estinguere in 20 anni, 63 + 20 fa 83. Quindi c’è la scopertura o remissione quasi certa di 2 anni. Ma forse con l’operazione Ape si vuole dare un po’ di ossigeno al sistema bancario che per motivi diversi, dal 2008 in poi è sotto stress. Sarebbe allo studio, ma nella riunione non è stato detto,  la possibilità di estendere il prestito previdenziale anche ai dipendenti pubblici, che ordinariamente vengono coinvolti solo quando c’è da assumere misure negative, tipo licenziabilità in tronco, ma mai quelle positive, vedi l’ultimo provvedimento sul part time pre-pensionistico sul quale il governo sta facendo anche una grossa campagna pubblicitaria.