L’Ape conviene poco

A gettare acqua sul fuoco sulla definitività per prestito previdenziale, ci ha pensato ieri la Cgil che ha ricordato come finora si è solo parlato sui massimi sistemi senza definire le singole questioni e soprattutto senza indicare con quali e quanti euro si affrontano le questioni messe sul tappeto.
La discussine ed i dubbi principali ruotano attorno al prestito pensionistico per consentire la flessibilità in uscita. La trovata dell’Ape consiste di poter fare andare in pensione chi vuole, ma l’Inps prima del tempo previsto non sborsa un euro. Comincerà a pagare la pensione esattamente a 67 anni e 7 e dall’importo pensionistico si tratterrà le quote di ammortamento del prestito. Intanto nessuno sa che ne pensano le banche né le assicurazioni che si troveranno nell’occhio del ciclone e passeranno come i soliti poteri forti che lucreranno sulle spalle dei lavoratori. In realtà l’unico a lucrare sarà l’Inps che non comprometterà ulteriormente i già compromessi bilanci ( come ha ammesso recentemente Boeri) ed il governo che potrà presentarsi alla Ue senza aver cambiato una virgola alla legge Fornero.
A seguito della riforma della Fornero  i requisiti per andare in pensione ( attualmente ) sono l’uscita per vecchiaia 66 anni e 7 mesi oppure  per anzianità  42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 per le donne.
La proposta “APE”  di cui tanto si discute, stando alle dichiarazioni di rappresentanti del governo dovrebbe  venire incontro ai lavoratori e facilitare  la loro uscita dal mondo del lavoro, dopo l’ingiustizia a danno degli stessi commessa dal governo Monti. In mancanza di testi scritti, si sente dire che  questo provvedimento riguarderebbe  coloro ai quali mancano da uno a  tre anni alla pensione, ma a ciò non è del tutto vero poichè se si prende ad esempio un soggetto  che a dicembre 2016 ha quasi 64 anni e 42 anni circa di anzianità contributiva,  al quale quindi mancherebbero 10 mesi per andare in pensione e non ce la fa più, utilizzando l’APE se non tiene conto anche dell’anzianità contributiva, gli verrebbero addebitati 2 anni e 7 mesi  di prestito pensionistico, anzicchè solamente 10 mesi e dovrebbe pagare un mutuo mensile di circa 150/200 euro per vent’anni, un’estorsione.

Più in generale,  secondo i dati Inps, l’importo medio delle pensioni di vecchiaia liquidate nel 2015 (156.494) è stato di 630 euro al mese. Si va dai 1.063 euro in media per i lavoratori dipendenti ai 535 euro dei coltivatori diretti, passando per i 758 euro degli artigiani e gli 818 euro dei commercianti. Si tratta di valori ben distanti dall’importo delle pensioni di anzianità che nel 2015 sono state liquidate (154.718 in tutto) per un importo medio di 1.867 euro al mese. L’Ape però interessa chi deve andare in pensione di vecchiaia, che potrà lasciare il lavoro prima. Aderiranno solo quelli con l’acqua alla gola e dovrà  sopportare un taglio fino al 15% circa per 20 anni, sia pure minimo. Oppure, al contrario, chi ha una situazione familiare che glielo consente oppure fa un lavoro in nero. Per esempio  che avrà diritto ad  una pensione lorda da 15 mila euro all’anno, se chiede l’Ape due anni prima, avrebbe un prestito da 30 mila euro. Ma un lavoratore con una trentina d’anni di servizio potrebbe domandarsi se non gli convenga utilizzare il Tfr chiedendo l’anticipo a prescindere da Rita, l’anticipo previsto per chi è iscritto alla previdenza complementare, e poi ricevere una pensione piena, anziché chiedere il prestito e avere poi una pensione penalizzata per 20 anni, cioè finchè non muore . Oppure  un lavoratore potrebbe farsi  licenziato a due anni dalla pensione di vecchiaia e prendere l’indennità di disoccupazione, inizialmente pari al 75% della retribuzione (che è sempre maggiore della pensione) piuttosto che fare «il mutuo sulla pensione.