Lo show sulle pensioni

Da oggi riprendono gli incontri governo sindacati sulle pensioni che si dovrebbero concludere il 21 prossimo. Probabilmente non ci sarà un accordo come avvenne con il governo Prodi nel 2007 fra Cesare Damiani, il presidente della Commissione attività produttive  alla Camera, allora ministro del Lavoro, e le Organizzazioni sindacali. Sarà il governo a tirare unilateralmente le somme, anche alla luce del fatto che la Cgil ha deciso  il No al referendum sul Senato. Uno degli scopi, non tanto reconditi delle aperture governative verso le OOSS, fino a ieri oggetto di ostracismo, è proprio quello di una mossa elettorale. Il governo comunque del No della Cgil non sembra preoccuparsi più di tanto, perché sa bene che  una fascia minoritaria avrebbe votato comunque No, mentre confida di fare un accordo buono per convinca tutto il resto a votare a favore.
Anche se con l’Ape l’esecutivo si appresta a inanellare un altro flop che manderà forse  all’aria i suoi piani di ampiamento del consenso.
Il primo flop come si ricorderà fu la possibilità di avere il Tfr in busta paga. Tralasciando tutte le motivazioni il risultato è che lo hanno richiesto lo 0.8% dei lavoratori dipendenti. I lavoratori autonomi non hanno tfr.
Il secondo flop è quello legato al part time prepensionistico per i lavoratori prossimi alla pensione. Stima 50.000 unità, richiedenti 150( centocinquanta).
Il terzo flop annunciato è l’Ape, almeno con l’impostazione attuale legata al prestito previdenziale.
Sulle altre misure di cui sono pieni i giornali, i blog  ed i social, non ne diamo conto perché è meglio aspettare nero su bianco nel testo che verrà presentato alle Camere il prossimo mese di ottobre.
Il governo ha già che la prossima legge di stabilità annunciato  conterrà la bacchetta magica per rilanciare l’economia. Esattamente come aveva fatto per quella del corrente anno. Anno a crescita zero. Anche se molti, rispolverato frettolosamente qualche nozione algebrica, ricordano che il numero zero è il più grande dei numeri negativi e quindi è un numero positivo anche se può sembrare neutro.
A Bisanzio non avrebbero saputo fare di meglio.
Dunque aspettiamo.

Nel frattempo è “ricicciato” il presidente dell’Inps. Era tanto che non si sentiva.  Ripresosi dallo sforzo di aver disegnato l’ennesima riforma dell’Inps di cui non si sa che fine abbia fatto ma di cui si sa che i tempi di erogazione delle prestazioni istituzionali si non dilatati, cerca di riguadagnare la   scena con i soliti argomenti già utilizzati fin dall’ insediamento, quando fece sapere al mondo che il suo compito precipuo non era quello di amministrare il più grande ente previdenziale italiano e forse europeo, ma effettuare una missione salvifica sulle pensioni.
L’argomento di oggi è lo stesso. I metodi sono quelli che una volta si dicevano  demagogici ed oggi populisti.
Fra gli anni 50/60, qualunquisti. Premesso che a me dello status dei parlamentari mi interessa fino ad un certo punto, fino a quello cioè del mantenimento della democrazia rappresentativa, la mossa di Boeri in realtà è un’altra. Perché sa bene che dal 1° gennaio 2012 anche per i parlamentari  è stato introdotto il nuovo sistema previdenziale dei parlamentari, basato sul calcolo contributivo già adottato per il personale dipendente della Pubblica Amministrazione. Il diritto al trattamento pensionistico ora  si matura al conseguimento di un duplice requisito, anagrafico e contributivo: l’ex parlamentare ha infatti diritto a ricevere la pensione a condizione di avere svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni e di aver compiuto 65 anni di età.
Dal Sito del Senato si legge che in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato è garantito ai parlamentari, rappresentanti del popolo un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza.
Il trattamento economico dei parlamentari, nel complesso, è dunque concepito come condizione dell’esercizio indipendente di una fondamentale funzione costituzionale e, al tempo stesso, come garanzia che tutti i cittadini, senza riguardo al patrimonio o al reddito, possano realmente concorrere alla elezione delle Camere. Tale trattamento, di cui è parte essenziale anche la pensione spettante dopo la cessazione dal mandato, è finalizzato a creare le condizioni per cui il parlamentare possa impegnarsi nelle sue funzioni – a scapito del lavoro o di altre attività economiche – senza dover dipendere da altri soggetti, incluso il partito politico cui appartiene.
Ora poiché nell’accezione comune i parlamentari quando non sono considerati  dei meri  lestofanti, sono considerati come minimo dei mangiapane a tradimento, parlare di riduzione infoia alla grande e tutti cliccano mi piace. Dicevamo che Boeri ha un altro scopo, ed è quello del ricalcolo di tutte le pensioni in essere con il sistema retributivo in quello contributivo. Considerando un desueto tabù il principio dei diritti acquisiti. Riducendo la maggior parte dei percettori dai 1000 ai 3000 euro, ben lontano dai vitalizi dei parlamentari, almeno del 30%.
In questa situazione mi trovo ad essere d’accordo con il sottosegretario alla presidenza Nannicini che ha dichiarato: “ Questo tipo di ricalcoli non sono semplicissimi – sottolinea – richiedono molte ipotesi e molti dati. E devi stare molto attento perché non si riesce a fare con il bisturi del chirurgo questa distinzione un po’ intellettualistica. Proprio perché è difficile fare queste ipotesi, avere i dati necessari per farlo, rischi di fare danni. Rischi davvero di tagliare pensioni alte ma meritate, oppure di toccare pensioni che sono generose rispetto ai contributi versati ma sono basse”.