Continuano a pervenire quesiti sulla possibilità di fare ricorso contro la (presunta) trattenuta del contributo del 2,50% per i dipendenti pubblici sia quelli assunti dopo il 2001 e quindi in regime di Tfr sia quelli assunti prima e che hanno trasformato il Tfs in Tfr per adesione alla previdenza complementare.
In genere le richieste sono motivate e rafforzate dalla conoscenza di analoghi ricorsi organizzati da alcuni sindacati confederali, sia pure a livello territoriale.
Molti lavoratori si sono rivolti alla magistratura. Molti ricorsi sono stati vinti in primo grado e respinti in appello. Probabilmente sarà adita forse anche la Cassazione.
Nel merito della questione, questa Federazione, anche dopo un approfondito supporto legale, si è più volte pronunciata contro i ricorsi, che comunque ognuno, nella propria libertà di scelta, può decidere di esperire.
Tuttavia allo scopo di fare chiarezza sull’argomento e cercare di mettere il punto sulla questione, si è deciso di fare questo seminario in cui cercheremo di sviscerare tutti gli aspetti, quelli tecnici, giuridici e sindacali, convinti come siamo che comunque esso non riuscirà a fugare tutti i dubbi, ma almeno da parte nostra mettere un punto fermo sulla dibattuta questione. Insomma vorremmo sciogliere il nodo gordiano del problema della (presunta) trattenuta del 2.5% per coloro che sono in tfr fornendo le argomentazioni necessarie.
I lavoratori italiani al momento della cessazione di un qualsiasi rapporto di lavoro hanno diritto al trattamento di fine rapporto se relativi al settore privato oppure al trattamento di fine servizio se impiegati pubblici ed assunti prima del 2001. Brevemente, poi approfondiremo, si ricorda che sono due istituti giuridici profondamente diversi anche se entrambi consistono in un’erogazione in una somma una tantum, calcolata in modo diverso, all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro. Il primo è salario differito, il secondo è una prestazione previdenziale.
Qui occorre fare una breve digressione di carattere generale. Le leggi generalmente seguono i processi sociali, raramente li precedono, perché regolamentano e disciplinano fenomeni economici, civili e giuridici che si manifestano improvvisamente o lentamente. La legge 335/95, la riforma Dini, non fa eccezione. Essa nacque dopo una gestazione dal 92 al 95 a seguito dei primi provvedimenti Amato per fronteggiare una situazione pensionistica non più rinviabile sull’emergere di due fenomeni ancora sussistenti:
il mutamento demografico della popolazione
il mutamento del mercato del lavoro.
La legge oltre ad introdurre un nuovo sistema di calcolo, quello contributivo, avviava un processo di armonizzazione di istituti pensionistici e previdenziali fra il settore del lavoro privato e quello pubblico, nonché il rilancio della previdenza complementare. Si ricorda altresì che fu l’unica riforma, assieme a quella successiva di Damiano che fu portata alla discussione e all’approvazione dei lavoratori. Le successive riforme non solo non ebbero gestazioni così lunghe, ma approvate dalla sera alla mattina non hanno visto il coinvolgimento delle parti sociali né tantomeno dei diretti interessati, almeno fino al verbale del 28 settembre scorso.
In genere le richieste sono motivate e rafforzate dalla conoscenza di analoghi ricorsi organizzati da alcuni sindacati confederali, sia pure a livello territoriale.
Molti lavoratori si sono rivolti alla magistratura. Molti ricorsi sono stati vinti in primo grado e respinti in appello. Probabilmente sarà adita forse anche la Cassazione.
Nel merito della questione, questa Federazione, anche dopo un approfondito supporto legale, si è più volte pronunciata contro i ricorsi, che comunque ognuno, nella propria libertà di scelta, può decidere di esperire.
Tuttavia allo scopo di fare chiarezza sull’argomento e cercare di mettere il punto sulla questione, si è deciso di fare questo seminario in cui cercheremo di sviscerare tutti gli aspetti, quelli tecnici, giuridici e sindacali, convinti come siamo che comunque esso non riuscirà a fugare tutti i dubbi, ma almeno da parte nostra mettere un punto fermo sulla dibattuta questione. Insomma vorremmo sciogliere il nodo gordiano del problema della (presunta) trattenuta del 2.5% per coloro che sono in tfr fornendo le argomentazioni necessarie.
I lavoratori italiani al momento della cessazione di un qualsiasi rapporto di lavoro hanno diritto al trattamento di fine rapporto se relativi al settore privato oppure al trattamento di fine servizio se impiegati pubblici ed assunti prima del 2001. Brevemente, poi approfondiremo, si ricorda che sono due istituti giuridici profondamente diversi anche se entrambi consistono in un’erogazione in una somma una tantum, calcolata in modo diverso, all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro. Il primo è salario differito, il secondo è una prestazione previdenziale.
Qui occorre fare una breve digressione di carattere generale. Le leggi generalmente seguono i processi sociali, raramente li precedono, perché regolamentano e disciplinano fenomeni economici, civili e giuridici che si manifestano improvvisamente o lentamente. La legge 335/95, la riforma Dini, non fa eccezione. Essa nacque dopo una gestazione dal 92 al 95 a seguito dei primi provvedimenti Amato per fronteggiare una situazione pensionistica non più rinviabile sull’emergere di due fenomeni ancora sussistenti:
il mutamento demografico della popolazione
il mutamento del mercato del lavoro.
La legge oltre ad introdurre un nuovo sistema di calcolo, quello contributivo, avviava un processo di armonizzazione di istituti pensionistici e previdenziali fra il settore del lavoro privato e quello pubblico, nonché il rilancio della previdenza complementare. Si ricorda altresì che fu l’unica riforma, assieme a quella successiva di Damiano che fu portata alla discussione e all’approvazione dei lavoratori. Le successive riforme non solo non ebbero gestazioni così lunghe, ma approvate dalla sera alla mattina non hanno visto il coinvolgimento delle parti sociali né tantomeno dei diretti interessati, almeno fino al verbale del 28 settembre scorso.
L’art 2, commi 5/8 della legge 335/95 stabilì che a decorrere dal 1.1.96 anche i lavoratori pubblici avessero diritto del trattamento di fine rapporto. La contrattazione collettiva nazionale definisce, nell’ambito dei singoli comparti, entro il 30 novembre 1995, le modalità di attuazione, garantendo l’assenza di oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
Il passaggio dai Tfs al Tfr non avvenne entro i termini previsti (1° gennaio 1996) .ma circa tre anni più tardi, quando fu stipulato l’accordo quadro Aran – Confederazioni sindacali del 29 luglio 1999, recepito dal Dpcm 20 dicembre 1999, e s.m.i. Detto accordo ha consentito il passaggio dal Tfs al Tfr per i dipendenti contrattualizzati dal 1.1.2001 e le norme sulla trasformazione del Tfs in Tfr per la destinazione delle quote di Tfr alla previdenza complementare per quelli assunti prima del 2001.
In particolare viene disposta la soppressione del contributo previdenziale obbligatorio del 2.5 % carico dei dipendenti iscritti in regime di TFR
Per rendere più cogente l’invarianza della spesa, la successiva legge 448/1998, comma 19, della legge n. 448/1998 ha stabilito l’’invarianza della retribuzione, ha stabilito che la soppressione del contributo non determina effetti sulla retribuzione netta ai fini sia fiscali sia previdenziali.
Vedi messaggio Inps 21-06-2013 n. 10065.
Il passaggio dai Tfs al Tfr non avvenne entro i termini previsti (1° gennaio 1996) .ma circa tre anni più tardi, quando fu stipulato l’accordo quadro Aran – Confederazioni sindacali del 29 luglio 1999, recepito dal Dpcm 20 dicembre 1999, e s.m.i. Detto accordo ha consentito il passaggio dal Tfs al Tfr per i dipendenti contrattualizzati dal 1.1.2001 e le norme sulla trasformazione del Tfs in Tfr per la destinazione delle quote di Tfr alla previdenza complementare per quelli assunti prima del 2001.
In particolare viene disposta la soppressione del contributo previdenziale obbligatorio del 2.5 % carico dei dipendenti iscritti in regime di TFR
Per rendere più cogente l’invarianza della spesa, la successiva legge 448/1998, comma 19, della legge n. 448/1998 ha stabilito l’’invarianza della retribuzione, ha stabilito che la soppressione del contributo non determina effetti sulla retribuzione netta ai fini sia fiscali sia previdenziali.
Vedi messaggio Inps 21-06-2013 n. 10065.
In questa situazione a causa dell’aggravarsi della crisi economica generale fu emanato il Dl 78/2010 che per un limitato arco di tempo ha cambiato le carte in tavola.
Le nuove modalità di calcolo del TFS (dal 1° gennaio 2011 all’ottobre 2012)
Il comma 10 dell’art. 12 del DL n. 78/2010 aveva previsto che, a partire dalle anzianità utili maturate dal 1° gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, non sottoposto al regime TFR, si dovesse effettuare secondo le regole di cui all’art. 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento.
L’interpretazione che se ne fece della norma è che essa riguardava anche questa volta la modalità di calcolo, non l’estensione del Tfr facendo permanere il contributo del 2.5%. Si ebbero numerosi ricorsi e un rinvio alla Corte Costituzionale.
La sentenza della Corte costituzionale n. 223 dell’ottobre 2012, ha dichiarato l’illegittimità. della norma stessa,( poi definitivamente abrogata dal decreto legge 30 ottobre 2012, n. 185) perchè non aveva disposto l’abrogazione del contributo del 2.5% posto a carico dei dipendenti, in quanto la disposizione contestata avrebbe disposto l’integrale estensione del Tfr a tutti i dipendenti pubblici secondo la disciplina contenuta nell’art. 2120 del codice civile.
Il decreto legge 29 ottobre 2012, n. 185 ha introdotto le disposizioni finalizzate all’eliminazione delle norme ritenute dalla Corte incompatibili con la trattenuta del 2,5%. Il decreto è decaduto senza essere convertito ed i suoi effetti ed i rapporti giuridici insorti durante il periodo di vigenza sono stati fatti salvi dall’art. 1, commi 98-101, della legge 23 dicembre 2012, n. 228 che ne ha riproposto integralmente i contenuti.
In particolare, le disposizioni in esame hanno cancellato l’art. 12, comma 10, del DL n. 78/2012 a decorrere dal 1° gennaio 2011.
Ancora ad oggi alcune organizzazioni sindacali, senza aver mai chiesto la disapplicazione dell’accordo del 1999, stanno promuovendo una serie di ricorsi collettivi variamente articolati sia per il Tfr che per il Tfs. con i quali si chiedono l’abrogazione del contributo e l’erogazione delle somme arretrate.
A questo punto si possono esprimere le seguenti considerazioni.
Una sommaria valutazione di diritto (fumus boni iuris) porta alla considerazione che essendo stata abrogata la norma innovativa, il tfs rimane una prestazione previdenziale e quindi con obbligo contributivo.
Una soluzione logica sarebbe quella che tutte le organizzazioni firmatarie dell’accordo del 1999 richiedessero un aggiornamento dell’accordo riprendendo in mano tutte le questioni sospese (estensione del 252/2005, anticipazioni del tfr ecc..
Ora l’Aran ha finalmente pubblicato una sua guida che dovrebbe fare ancora più chiarezza.
Le nuove modalità di calcolo del TFS (dal 1° gennaio 2011 all’ottobre 2012)
Il comma 10 dell’art. 12 del DL n. 78/2010 aveva previsto che, a partire dalle anzianità utili maturate dal 1° gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, non sottoposto al regime TFR, si dovesse effettuare secondo le regole di cui all’art. 2120 del codice civile, con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento.
L’interpretazione che se ne fece della norma è che essa riguardava anche questa volta la modalità di calcolo, non l’estensione del Tfr facendo permanere il contributo del 2.5%. Si ebbero numerosi ricorsi e un rinvio alla Corte Costituzionale.
La sentenza della Corte costituzionale n. 223 dell’ottobre 2012, ha dichiarato l’illegittimità. della norma stessa,( poi definitivamente abrogata dal decreto legge 30 ottobre 2012, n. 185) perchè non aveva disposto l’abrogazione del contributo del 2.5% posto a carico dei dipendenti, in quanto la disposizione contestata avrebbe disposto l’integrale estensione del Tfr a tutti i dipendenti pubblici secondo la disciplina contenuta nell’art. 2120 del codice civile.
Il decreto legge 29 ottobre 2012, n. 185 ha introdotto le disposizioni finalizzate all’eliminazione delle norme ritenute dalla Corte incompatibili con la trattenuta del 2,5%. Il decreto è decaduto senza essere convertito ed i suoi effetti ed i rapporti giuridici insorti durante il periodo di vigenza sono stati fatti salvi dall’art. 1, commi 98-101, della legge 23 dicembre 2012, n. 228 che ne ha riproposto integralmente i contenuti.
In particolare, le disposizioni in esame hanno cancellato l’art. 12, comma 10, del DL n. 78/2012 a decorrere dal 1° gennaio 2011.
Ancora ad oggi alcune organizzazioni sindacali, senza aver mai chiesto la disapplicazione dell’accordo del 1999, stanno promuovendo una serie di ricorsi collettivi variamente articolati sia per il Tfr che per il Tfs. con i quali si chiedono l’abrogazione del contributo e l’erogazione delle somme arretrate.
A questo punto si possono esprimere le seguenti considerazioni.
Una sommaria valutazione di diritto (fumus boni iuris) porta alla considerazione che essendo stata abrogata la norma innovativa, il tfs rimane una prestazione previdenziale e quindi con obbligo contributivo.
Una soluzione logica sarebbe quella che tutte le organizzazioni firmatarie dell’accordo del 1999 richiedessero un aggiornamento dell’accordo riprendendo in mano tutte le questioni sospese (estensione del 252/2005, anticipazioni del tfr ecc..
Ora l’Aran ha finalmente pubblicato una sua guida che dovrebbe fare ancora più chiarezza.