La proposta governativa si basa  sulla media di un bennio, calcolando così anche eventuali cali dell’aspettativa di vita.
il governo punta a un nuovo meccanismo di calcolo dell’aspettativa di vita stessa, a cui agganciare l’età in cui andare in pensione, che parta dal 2021 (considerando gli anni 2018-2019 rispetto al biennio precedente) e si basi sulla media di un biennio, confrontata con il biennio precedente, da cui ricavare lo scostamento. In questo modo sarebbero computati anche eventuali cali della speranza di vita. Se dal confronto di un biennio con quello precedente, dovesse emergere un calo della speranza di vita, questo – a differenza dell’incremento – verrebbe assorbito nel biennio successivo a quello in considerazione, che a quel punto resterebbe fermo, senza cioè che l’età pensionabile aumenti.
In pratica, dal 2021 l’aspettativa di vita verrebbe calcolata considerando la media del biennio 2018-2019 confrontata con la media del biennio precedente; l’eventuale aumento sarebbe portato sul biennio 2021-2022. Nel caso invece di ‘risultato’ negativo – ovvero di speranza di vita in calo –  questo sarebbe ‘scalato’ nella verifica per il biennio successivo (2023-2024). Dunque, anche in caso di riduzione dell’aspettativa di vita non ci sarebbe mai un calo dell’età pensionabile, ma solo uno stop. L’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita continuerebbe a scattare ogni due anni.
Rimane sempre in piedi per il 2019 la proposta di escludere dall’adeguamento a 67 anni le categorie previste dall’Ape sociale, con 36 anni di contributi e 6 anni di attività gravose svolte negli ultimi 7.
Infine il governo per la previdenza complementare propone l’equiparazione delle regole fiscali fra il settore pubblico e quello dei lavoratori privati, nonché una nuova campagna di silenzio assenso per aumentare le adesioni fra i ministeriali finora restii a farlo.