Un fallimento facilmente prevedibile a oltre 7 mesi dall’1 maggio, che doveva segnare l’inizio della sperimentazione dell’Ape sociale. La rivista dell’Inca ‘Esperienze’ fa il punto sulla situazione dell’anticipo pensionistico. Se tutto andrà liscio, i primi assegni di indennità Ape sociale e anticipo pensionistico per lavoratori precoci non arriveranno prima di gennaio 2018, ricorda il patronato citando un comunicato stampa dell’Inps diffuso il primo dicembre.
I ritardi  accumulati  non sono sempre per responsabilità dell’lnps. Il decreto applicativo ha avuto una gestazione complicata, tant’è che  è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.138 soltanto il 16 giugno, con un ritardo di più di un mese. Poi l’Istituto ci ha messo del suo.
Superato lo scoglio dell’ultima scadenza (30 novembre) per la presentazione delle domande di Ape sociale e di anticipo pensionistico per i lavoratori precoci, l’Inps ha diffuso i dati sulle richieste pervenute complessivamente sia per quanto riguarda la prima fase (conclusa il 15 ottobre) che la seconda (30 novembre).
I risultati -si legge nella rivista ‘Esperienze’- non sono affatto incoraggianti. Con la prima, sono state accolte 15.493 domande di certificazione di Ape sociale e 9.031 richieste di lavoratori precoci (pari al 39% e al 34% del totale), per un numero complessivo di 24.524 domande su 65.972 richieste complessivamente pervenute, pari al circa il 37%; ben al di sotto della metà”.
“Poi, però, l’Inps precisa di aver provveduto a riesaminare d’ufficio, alla luce dei nuovi indirizzi estensivi forniti dal ministero – e fortemente sollecitati dopo la pubblicazione del dossier di inca – 6.384 domande di Ape sociale e 5.592 di lavoratori precoci (per un totale di 11.976)”. Un riesame definito dall’Inps “operazione straordinaria”, che “si completerà nei primi giorni di dicembre”. “Al momento, è sempre l’Inps a dirlo, queste operazioni di riesame hanno comportato l’accoglimento di circa 2.000 domande di Ape sociale e di circa 1.780 di lavoratori precoci (per un totale di 3.780). Dunque, se la matematica non è un’opinione, su 11.976 domande riesaminate, 8.196 ancora attendono di sapere quale sarà l’esito alla loro richiesta (oltre il 68%)”, dice l’Inca.

“Se questo è l’andazzo, cosa ne sarà delle 16.917 domande pervenute all’Inps, tra il 15 luglio e il 30 novembre?”, sottolinea l’Inca. “Il sospetto -dice Piccinini- è che si avveri ciò che lo stesso Inps ha pronosticato, nell’ottobre scorso, in occasione dell’audizione alla Camera, quando, giocando di anticipo rispetto ai tempi, affermò che il 50% delle risorse stanziate per l’indennità Ape sociale e l’anticipo pensionistico in favore dei lavoratori precoci, anche dopo il riesame delle domande, sarebbe rimasto inutilizzato. Un fallimento facilmente prevedibile, dunque, che si sarebbe dovuto e potuto evitare dando certezza del diritto.
Nel 2017 le risorse non utilizzate per l’Ape social e i lavoratori ‘precoci’ ammontano a 540 milioni di euro, molto superiori a quei 300 milioni  stanziati dal governo. Risorse che non saranno reimpiegate nel capitolo previdenza e che quindi andranno perse.
Il risparmio di risorse realizzato sulle prestazioni di Ape sociale e ‘precoci’ nel 2017 è addirittura superiore a quanto il Governo ha deciso di destinare complessivamente al capitolo Previdenza nel prossimo triennio secondo il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli mentre Ezio Cigna, responsabile Ufficio Previdenza pubblica del sindacato, annota come i 300 milioni stanziati dal governo per l’intervento triennale “siano abbondantemente sovrastimati”.
A far risparmiare il governo nel 2018 soprattutto il numero di domande accolte per Ape sociale e ‘precoci’, molto inferiore a quello che era stato preventivato: 31.290 domande anziché le 60.000 ipotizzate, pari al 52,15% del totale previsto, stima ancora la Cgil. E sarà proprio questo a determinare, con un effetto trascinamento, il risparmio anche per il 2018 che il sindacato stima pari a 554,5 mln.

I correttivi sino ad ora ipotizzati dal Governo, relativi all’ampliamento di quattro categorie di lavori gravosi, all’intervento sulle donne madri e sui contratti a termine, senza ulteriori misure sarebbero del tutto irrilevanti e determinerebbero anche per il 2018 l’esclusione di tantissimi lavoratori dalle prestazioni.  In sintesi c’è la necessità di abbassare gli anni di lavoro  per i lavoratori impegnati in attività gravose da 36 a 30 anni e la modifica della continuità professionale richiesta di 6 anni su 7 allargandola a 7 su 10. Inoltre, sempre relativamente ai lavori gravosi, è necessario semplificare le procedure e rimuovere il vincolo del tasso di tariffa Inail del 17 per mille che ha provocato ilo respingimento di moltissime domande.