All’uscita del Bollettino economico di marzo della BCE, alcuni media italiani hanno lanciato l’allarme sulla futura tenuta dei conti pubblici e sulla necessità di una nuova riforma pensionistica. Ma è davvero così a rischio il nostro sistema previdenziale? Un approfondimento delle implicazioni economiche dell’invecchiamento della popolazione e degli effetti delle riforme pensionistiche previsti dalla Banca Centrale Europea
Michaela Camilleri
All’uscita del Bollettino economico di marzo della BCE, in rete alcuni siti di informazione titolavano preoccupati “BCE: riforma pensioni o conti a rischio”, “Riforma pensioni, BCE: senza aumento dell’età pensionabile a rischio i conti pubblici” e ancora “Fornero bis, è possibile”, riportando con estremo allarmismo il contenuto di un articolo sull’impatto economico dell’invecchiamento della popolazione e delle riforme pensionistiche nell’area dell’euro.
Ma la situazione del nostro sistema pensionistico è davvero così critica? Partiamo dalla lettura dell’articolo e cerchiamo poi di declinarne i contenuti nella realtà specifica del nostro Paese.
Sulla base delle simulazioni effettuate, la BCE rileva che “le dinamiche demografiche avranno implicazioni macroeconomiche e fiscali fondamentali per l’area dell’euro; in particolare, l’invecchiamento della popolazione comporterà un calo dell’offerta di lavoro e avrà probabilmente effetti negativi sulla produttività. Ci saranno anche ulteriori pressioni al rialzo sulla spesa pubblica per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine. In questo quadro, molti paesi hanno adottato riforme pensionistiche a seguito della crisi del debito sovrano, benché la rapidità di attuazione di tali riforme sia recentemente diminuita. L’implementazione di ulteriori riforme in questa area si rivela essenziale e non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica”.
La BCE prosegue spiegando che “mentre le riforme previdenziali concorreranno a ridurre l’effetto fiscale dell’invecchiamento della popolazione, le loro implicazioni macroeconomiche precise potrebbero variare considerevolmente a seconda della natura specifica di questi provvedimenti di riforma. In particolare, l’aumento dell’età di pensionamento potrebbe ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell’invecchiamento, grazie all’effetto favorevole sull’offerta di lavoro e sul consumo interno. Al contrario, la riduzione del tasso di sostituzione tenderà a contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici, mentre l’aumento delle aliquote contributive tenderà di fatto ad esacerbarli”.
In altre parole, la BCE lancia un monito ai Paesi dell’area dell’euro affinché tengano alta l’attenzione sulla sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo, in particolare del sistema previdenziale: evitare passi indietro sulle riforme attuate negli ultimi anni (e qui potremmo sì pensare al caso dell’Italia e alla promessa cancellazione della riforma Fornero sostenuta durante la recente campagna elettorale) e approfittare del contesto economico favorevole per varare nuovi piani di riforma; e suggerisce di farlo attraverso un aumento dell’età pensionabile, soluzione che sarebbe in grado di ridurre l’impatto economico negativo delle dinamiche demografiche in atto.
Possiamo ritenere tutto ciò un invito mirato al nostro Paese? E in questo caso sarebbe giustificata una cosiddetta “Fornero-bis”? Per provare a rispondere a queste domande, approfondiamo i due punti fondamentali del messaggio della BCE e vediamo se sono applicabili al caso italiano.

1. La necessità di nuove riforme
Innanzitutto, bisogna premettere che i risultati presentati derivano da simulazioni basate su modelli validi per l’intera area dell’euro e, dunque, si tratta di valutazioni generiche che, come precisa la stessa BCE, “non consentono di trarre conclusioni relative ai piani di riforma dei singoli Paesi”.
Detto ciò, dai dati illustrati si rileva che l’Italia, proprio per effetto delle riforme già attuate in passato, subirà un aumento della spesa pensionistica più contenuto rispetto a quello di altri Paesi: secondo il rapporto BCE del 2015 sull’invecchiamento della popolazione, in alcuni paesi come Germania, Lussemburgo, Malta, Slovenia e Slovacchia, dovrebbero verificarsi pressioni significative sulla spesa pubblica per le pensioni, mentre ci si attende che tali pressioni diminuiscano notevolmente in Francia, in Italia e in Lettonia (si veda il grafico che segue). Secondo le proiezioni, entro il 2060 saranno la spesa per sanità e per lungodegenza a crescere in maniera più sostenuta (rispettivamente in media +0,7 e +1,3% del Pil).
fonte: puntopensionelavoro