l’impegno preso dal presidente della Bce Mario Draghi il 26 luglio 2012 a fare “qualunque cosa necessaria” per salvare l’euro, si può dire che la missione è stata sostanzialmente centrata. L’euro non solo c’è ancora, ma resta insieme al dollaro USA, allo yen giapponese, allo yuan cinese, al franco svizzero e alla sterlina inglese una delle valute internazionali di riferimento, seconda per volume di scambi soltanto al biglietto verde.
Certo, le tensioni politiche in Spagna, Italia e Germania destano preoccupazione, il Dpef (documento di programmazione economica e finanziaria) che il governo italiano dovrebbe presentare in autunno sarà passato al microscopio e potrebbe provocare altri scossoni al mercato obbligazionario periferico della zona euro, come sperimentato nella seconda metà di maggio. Ma non c’è dubbio sul fatto che, per il momento, lo scudo della Bce si sia fatto sentire assicurando protezione agli asset finanziari europei.
Infatti, gli investitori che sei anni fa hanno creduto alle promesse di Draghi, e mantenuto le linee a più alta vocazione azionaria, possono dirsi soddisfatti. Per esempio, tra le linee unit linked dei PIP censiti nel database di Itinerari Previdenziali, quelle azionarie mostrano una performance media del 52,7% (pari ad un rendimento annuo composto del 7,3%) dal luglio 2012 al luglio 2018. Nello stesso arco di tempo, le linee bilanciate evidenziano un apprezzamento medio della quota del 33,6% (equivalente al 4,9% annuo composto), le linee flessibili un guadagno medio del 23% (ovvero del 3,5% annuo composto) e quelle obbligazionarie un rialzo medio del 9,7% (1,5% annuo composto).
Sicuramente gli investitori hanno dovuto accettare una maggiore oscillazione delle quote per ricavare un extra rendimento (la volatilità annualizzata media delle linee azionarie si è posizionata a 10,8%, contro il 7% delle linee bilanciate, il 5,2% delle linee flessibili e il 3% di quelle obbligazionarie). Ma è il dazio da sostenere in un mondo che vede i rendimenti finanziari attesi (anche per i prossimi anni) in strutturale discesa, sia in ambito azionario che in quello obbligazionario. Un dazio che, per un investimento che si pone l’obiettivo di costruire la pensione integrativa, dovrebbe essere piuttosto sostenibile, soprattutto per i lavoratori più giovani e, in generale, per tutti coloro che hanno davanti almeno 10 anni di attività lavorativa.
fonte il punto