Già a partire dall’inizio del 2019, l’andamento positivo del mercato azionario ha bilanciato il calo dei rendimenti delle obbligazioni, che in agosto hanno raggiunto un minimo storico sia per il consolidarsi delle aspettative di ulteriore rallentamento della crescita economica sia per le recenti decisioni in materia di politica monetaria.
Come atto conclusivo del suo mandato, il Presidente uscente della BCE Mario Draghi ha infatti ufficializzato l’ultimo round di politica accomodante, con un ulteriore taglio dei tassi d’interesse e il rilancio del Quantitative Easing, che prevede acquisti di titoli al ritmo mensile di 20 miliardi di euro senza una data di scadenza prefissata. Con questo pacchetto di misure, Draghi annunciava così il cambio della cosiddetta forward guidance, ossia la previsione sui movimenti futuri dei tassi, con l’obiettivo di assicurare condizioni finanziarie per sostenere la crescita economica dell’Eurozona e la convergenza del tasso di inflazione al livello obiettivo vicino al 2%. Obiettivo che – come ricordato dallo stesso Draghi nelle sue considerazioni d’addio – la politica monetaria può raggiungere, ma solo se le politiche di bilancio dei singoli Paesi saranno allineate.
Anche negli Stati Uniti la Federal Reserve ha ricomincia­to a fornire liquidità al mercato, attraverso l’acquisto di titoli a breve scadenza, per un ammontare di circa 60 miliardi di dollari al mese, almeno fino al secondo trimestre del 2020 e con l’obiettivo di “mantenere le riserve a livelli pari o superiori a quelli prevalenti agli inizi di settembre”. Inoltre, in occasione della riunione del 30 ottobre scorso, la Fed ha, per la terza volta, tagliato i tassi d’interesse portandoli nell’intervallo dall’1,5% all’1,75%.

Le ripercussioni sui rendimenti dei fondi pensione
L’andamento complessivo dei mercati finanziari si è tradotto in rendimenti di periodo positivi per i fondi pensione italiani. Gli ultimi aggiornamenti statistici pubblicati dalla COVIP rilevano che, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, tutte le categorie di fondi hanno riportato le performance in territorio positivo: i negoziali hanno guadagnato il 6,4%, i fondi aperti il 7,2%, i PIP di ramo III il 9,4% e le gestioni separate, che però – come ricorda la nota COVIP – contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dal flusso cedolare incassato sui titoli detenuti, l’1,3%. Risultati in netto rialzo rispetto a quelli registrati a fine 2018: allora infatti nessuno era riuscito a performare meglio non solo rispetto alla rivalutazione del TFR, ma anche agli altri “rendimenti obiettivo” (inflazione e media quinquennale del PIL).
Questi rendimenti positivi in corso d’anno consolidano quelli registrati nel decennio precedente, periodo di osservazione più adeguato a valutare i risultati di investitori di lungo periodo come i fondi pensione. Nel periodo da inizio 2009 a fine 2018, il rendimento medio annuo composto è risultato pari al 3,7% per i fondi negoziali, al 4,1 per i fondi aperti, al 4 per i PIP di ramo III e al 2,7% per le gestioni separate di ramo I, a fronte di una rivalutazione media annua composta del TFR pari al 2%. Sull’orizzonte decennale, si confermano rendimenti positivi per tutte le tipologie di comparto, con gli azionari, i bilanciati e gli obbligazionari misti che registrano performance superiori rispetto ai garantiti e agli obbligazionari puri.
Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

fonte: ilpuntopensionielavoro.it