Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ha formulato alcune idee per superare “Quota 100” con una riforma duratura, evitare l’assistenzialismo, comunicare correttamente i dati sulle pensioni all’Europa, tenere d’occhio il finanziamento del sistema e sfatare i troppi luoghi comuni sul welfare state italiano a partire dagli spunti dell’Ottavo Rapporto Itinerari Previdenziali.

Secondo Brambilla, in base alle evidenze emerse nell’Ottavo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano ci sono almeno 5 punti da tenere in debita considerazione.

1) Anzitutto è utile evidenziare che l’entità della spesa sociale in Italia nel 2019 ha toccato la ragguardevole cifra di 488,34 miliardi, pari al 56% della spesa pubblica totale e al 58% delle entrate statali. Nel 2012 era di 432 miliardi cioè 56 miliardi in più (+13%), di cui 19 per le pensioni, 5 per la sanità e 34,6 per l’assistenza sociale (+61%). Questi dati offrono una prima considerazione utile e smontano il luogo comune secondo il quale da noi si spende poco per il welfare, mentre in realtà siamo ai primi posti al mondo per spesa sociale.

2) La spesa per le pensioni di Invalidità, Vecchiaia e Superstiti (compresa Quota 100) è aumentata nel periodo del 9%, contro il 7% di incremento dell’inflazione, ed è pari a 230,26 miliardi, cioè il 12,88% del PIL, e comprende pure la GIAS ( Gestione per gli interventi assistenziali) dei dipendenti pubblici e le integrazioni al minimo che sono ovviamente classificati anche nel bilancio INPS come assistenza (19,5 miliardi). Al netto dell’Irpef la spesa effettiva netta è inferiore a 157 miliardi, totalmente finanziata dalla produzione (aziende e lavoratori). Eppure, l’Italia comunica alla UE che la sola spesa per vecchiaia e superstiti è pari (dati 2018 ultimi disponibili) al 16,30%, contro una media del 12,20% dei Paesi UE28. Ora, sembra ovvio comunicare gli importi previdenza ed assistenza se no la Commissione UE chiederà, come ha già fatto nel 2011, un’ennesima riforma delle pensioni. Visti i pessimi risultati della legge Monti-Fornero continuare con queste comunicazioni è grave; come abbiamo visto, il vero problema è l’assistenza.

3) La spesa assistenziale è passata dai 73 miliardi del 2008 ai 114 del 2019 e nonostante questo aumento pari a 41 miliardi, che aumenteranno ulteriormente purtroppo nel 2020 e anni successivi a causa di SARS-CoV-2, la povertà assoluta misurata dall’Istat è passata da 2,11milioni di persone a 5 milioni (circa 400 mila in meno nel 2019) mentre quella relativa da 6,5 a 9 milioni. Forse queste politiche assistenziali sono da rivedere e il primo rimedio è la creazione di una banca dati che si aspetta dal lontano 2005.
4) L’altro tema riguarda il difficile finanziamento della spesa sociale a causa dell’enorme evasione fiscale e contributiva. Se il 60% degli italiani non paga IRPEF né contributi, per finanziare il welfare restano solo le imposte indirette e, purtroppo, debiti.

5) In ultimo occorrerà confrontarsi con Quota 100 che scade a fine anno e che, se non “risolta”, produrrebbe uno scalone di oltre 5 anni. Necessario quindi uscire da Quota 100 con una revisione definitiva della riforma Monti-Fornero valida per almeno 10 anni, procedendo: a) a una totale equiparazione delle regole generali per retributivi, misti e contributivi con particolare attenzione per la tutela dei giovani che hanno iniziato a lavorare dall’1 gennaio 1996 eliminando le norme Fornero, e all’istituzione di un “fondo di equità” per i contributivi, alimentato da subito con 500 milioni l’anno per finanziare proprio le tutele pensionistiche (integrazione al minimo) per i giovani a partire dal 2036; b) al blocco per tutti I lavoratori dell’adeguamento alla speranza di vita del requisito di anzianità contributiva richiesto per la pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi (1 anno in meno per le donne), con ulteriori riduzioni per precoci e lavoratrici madri; c) all’utilizzo dei fondi esubero per lavoratori con problemi e reintroduzione delle forme di flessibilità già previste dalla Dini-Treu, consentendo quindi il pensionamento con 64 anni di età (adeguati) e 38 di contributi, e così via.

Sempre secondo Itinerari Previdenziali i costi sarebbero di gran lunga inferiori a quelli accantonati per Quota 100 e per le pensioni di cittadinanza e queste norme darebbero più valore al lavoro.