La Germania vuole privatizzare le pensioni per salvarle, mentre Francia e Italia puntano sull’età pensionabile

Mentre la Francia viene sconvolta dagli scioperi perché il governo francese vorrebbe aumentare l’età pensionabile da 62 a 64 ed in Italia si avvia un nuovo faticoso percorso di cambiamento delle pensioni che punta a stabilire i 62 anni come punto di partenza per i pensionamenti flessibili, in Germania si vuole sperimentare una terza via che già ha acceso l’attenzione degli esperti di casa nostra.

L’Inps tedesco è il fuer Buendesversicherungsanstalt Angestellte (BFA) con sede centrale a Berlino. Tutti i lavoratori vi sono iscritti obbligatoriamente perché da quelle parti non esiste il lavoro nero.

In Germania si va in pensione prima ma con meno soldi, la pensione di vecchiaia è erogata a partire dai 63 anni e 10 mesi di età con 45 anni di contribuzione, oppure con 65 anni e 9 mesi di età e 35 anni di contribuzione. Da noi si va in pensione a 67 anni o con 41-42 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica.

Quindi in Germania si lascia il lavoro prima che da noi, però mettere insieme 45 anni di contributi equivale a iniziare a lavorare presto, a 20 anni senza interruzioni, requisito che non tutti i lavoratori possono vantare.

Andando, invece, in pensione con 35 anni di contributi (a 63 anni e 10 mesi di età) si subisce una penalizzazione sull’assegno pari allo 0,3% mensile per ogni mese di anticipo rispetto ai 65 anni e 9 mesi previsti per la vecchiaia. A conti fatti si arriva a perdere fino al 9,9%.

Oltretutto, le pensioni tedesche sono liquidate tutte col sistema di calcolo contributivo e il montante è inferiore a quello italiano a parità di anni lavorati. I contributi versati ammontano infatti al 19,9% della retribuzione lorda, contro il 33% dell’Italia. Ne deriva che le pensioni tedesche sono più basse di quelle italiane.
Naturalmente in queste condizioni la pensione pubblica non soddisfa i principi di adeguatezza, cioè la capacità di mantenere lo stesso tenore di vita di quando si lavorava, per cui per integrare le pensioni ci sono i piani aziendali (BAV betriebliche Altersvorsorge).
Non sono obbligatori ma i 3/5 dei lavoratori vi aderiscono e godono di vantaggi fiscali ( anche sulla pensione obbligatoria c’è da aggiungere)

I contributi dei dipendenti per ottenere la pensione integrativa ammontano in genere fra il 3 al 15 per cento al mese del salario lordo. L’azienda versa di solito un contributo di importo uguale. In Italia il contributo dell’azienda in caso di iscrizione alla complementare è sempre dell’1% anche se il lavoratore versa una percentuale superiore.
La maggior parte dei regimi pensionistici aziendali versa i contributi in un “fondo gestito” che poi investe materialmente sui mercati finanziari. Un buon ritorno è quello che assicura il 9 per cento di crescita all’anno. Cosa un po’ difficile negli ultimi tempi. C’è da ricorda che in Germania come in tutti gli altri paesi non esiste il TFR per cui manca un benchmark di confronto come avviene in Italia.

Il governo tedesco infatti pensa di salvare le pensioni ricorrendo al mercato dei capitali. All’inizio di gennaio il ministro delle Finanze tedesco ha presentato un progetto che prevede investimenti di almeno dieci miliardi all’anno sul mercato finanziario internazionale per i prossimi quindici anni, al fine di realizzare un fondo con cui assicurare la stabilità delle pensioni. Si tratta in sostanza di passare dal modello puramente sociale basato sui contributi ad un modello che lega l’importo delle pensione ai mutamenti e ai rendimenti dei mercati finanziari.

Secondo il governo tedesco solo così si potrà mantenere l’impegno di non abbattere le pensioni e di non alzare l’età pensionabile.
Il sistema pensionistico tedesco, come quelli di altri paesi, è infatti in difficoltà per ragioni demografiche: aumentano i pensionati e diminuiscono i lavoratori che pagano i contributi con i quali si pagano le pensioni in essere ( cosiddetto patto intergenerazionale). Secondo il Fatto quotidiano, già adesso lo Stato tedesco deve integrare i fondi esistenti con altri introiti erariali.

Nel 2022 sono stati oltre 100 miliardi, pari ad oltre il 30% delle pensioni erogate. La tendenza è in crescita e si stima che dal 2027 lo Stato dovrà sopperire con almeno 128 miliardi all’anno.

Per assicurare le pensioni in modo equo tra le generazioni, sarà avviata una parziale copertura sul mercato dei capitali, volta alla stabilizzazione di lungo termine del livello delle prestazioni pensionistiche e delle contribuzioni. Il nuovo fondo integrerà il sistema contributivo attuale. Ai due pilastri dei versamenti e delle sovvenzioni integrative statali, si aggiungerà così un terzo di “riserva azionaria”, che rinforzerà i primi due, senza però sostituirli. Nel bilancio per il 2023 sono previsti crediti per dieci miliardi per creare il capitale di base che si accumulerà per legge fino ad almeno il 2037 ed eventualmente oltre. Verso la fine degli anni 2030 sarebbe così data stabilità ad un sistema altrimenti destinato al collasso.

Fino alla prima fruibilità delle rendite dal fondo generazionale, il governo intende garantire la sostenibilità delle pensioni allargando la base dei contribuenti favorendo l’accesso di mano d’opera qualificata straniera, ampliando il lavoro femminile a tempo pieno migliorando la sostenibilità di famiglia e lavoro, nonché rendendo più attrattiva la permanenza volontaria in attività.
Sugli investimenti concreti deciderà un ente pubblico esterno al governo, una nuova fondazione la “Generationenkapital”, che dovrà seguire criteri di sostenibilità in un’ottica di rendimento di lungo termine. Gli investimenti non potranno interessare aziende partecipate dallo Stato. Ammissibili invece in società in cui le partecipazioni pubbliche abbiano solo ragioni storiche, aprendone così la strada ad una privatizzazione.

Il progetto al momento ha ricevuto più critiche che consensi. Molti ricordano il fallimento del fondo pensione dell”azienda americana Enron. I critici sostengono che il mercato azionario è fluttuante e toglierà invece sicurezza ai fondi pensione. Il Ministro tedesco del lavoro, ha chiarito che lo Stato non intende però investire direttamente i gettiti dei contributi, che continueranno a servire a pagare le pensioni in erogazione, bensì costituire una riserva con crediti assunti sul mercato a condizioni più favorevoli rispetto alla loro successiva rendita, sopportando i rischi per le eventuali perdite. Tuttavia non si esclude che in futuro anche una quota dei contributi individuali fluiscano nella fondazione per generare una rendita come nel modello svedese, anzi questa possibilità rappresenta il traguardo finale cui tendere. La legge con tutti i dettagli sarà presentata nelle prossime settimane al Parlamento.
D’altronde lo stesso ministro delle Finanze, consiglia sempre anche la costituzione di una pensione integrativa privata come terzo pilastro, oltre a quello statale ed a quello aziendale.
Lindner, il ministro delle finanze tedesco, auspica inoltre un maggior ricorso alla previdenza complementare rendendolo più attrattivo e sicuro. Ha ipotizzato come possibili alternative future l’esempio statunitense di versamenti in un deposito speciale le cui rendite godano di sgravi fiscali, oppure in un nuovo prodotto previdenziale dovendo scegliere obbligatoriamente tra uno pubblico od uno privato paragonabile.

Il ministro ha anche delineato il progetto di creare una piattaforma con la collega dell’Istruzione per l’educazione finanziaria ed abbattere le paure verso la previdenza privata.