Fondi pensione, le caratteristiche dell’aderente tipo

L’ultima Relazione COVIP dipinge ancora un quadro di un utilizzo subottimale delle forme di previdenza complementare, anche alla luce degli attuali trend demografici: servono adeguate campagne informative, ma alcuni disequilibri sembrano riflettere anche inefficienze del nostro mercato del lavoro.

I dati relativi agli iscritti ai fondi pensione riportati nell’ultima Relazione COVIP per l’anno 2022 forniscono un utile strumento per approfondire le caratteristiche socio-demografiche e le preferenze in termini di opzioni di investimento degli aderenti. Un’analisi che offre spunti interessanti per valutare eventuali aree di intervento, con l’obiettivo di assicurare una copertura pensionistica adeguata alle giovani generazioni nell’attuale “era del metodo di calcolo contributivo”.

Un quadro di insieme

A fine 2022, i fondi pensione sono 332, 17 in meno rispetto all’anno precedente, ma con un aumento degli iscritti del 5,4% a 9,240 milioni, il 36,2% della forza lavoro (34,7% nel 2021), per un numero di posizioni di 10,290 milioni. Di queste 332, 33 sono fondi pensione negoziali, 40 fondi pensione aperti, 68 piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP) cosiddetti “nuovi” e 191 fondi pensione preesistenti.

Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni dalle forme complementari sono diminuite del 3,6% a 205,6 miliardi (pari al 10,8% del PIL), per effetto delle perdite sui mercati finanziari nel 2022. Se confrontato con l’inizio del 2007, anno di avvio della riforma della previdenza complementare, il totale delle risorse destinate alle prestazioni è però quadruplicato, con una crescita media annua composta pari al 9%. D’altro canto, tali risorse, pari a 205,6 miliardi, rappresentano ancora una quota limitata (il 4%) delle attività finanziarie delle famiglie: un dato che evidenzia un ricorso ancora subottimale a questo tipo di strumenti nonostante il tema della sostenibilità del sistema pensionistico sia costantemente all’ordine del giorno in un Paese, l’Italia, che secondo i dati Eurostat non solo ha l’età media più elevata nell’UE, a 48 anni (44,4 anni la media UE nel 2022), ma conta anche il rapporto più alto tra anziani (persone sopra i 65 anni) e persone in età lavorativa, con il 37,5% ( il ragionamento non tiene conto dell’esistenza del TFR, storicamente il secondo pilastro esclusivamente italiano – ndr).

Le caratteristiche socio-demografiche degli iscritti

La suddivisione per classe di età degli iscritti evidenzia come il 18,8% abbia meno di 35 anni, il 48,9% appartenga alla fascia di età centrale (35-54 anni) e il 32,3% abbia almeno 55 anni. La relazione sottolinea, inoltre, come dal 2018 al 2022 si sia assistito a un progressivo spostamento dalle classi di età centrali a favore di quelle più anziane, pari a circa 5 punti percentuali, facendo salire l’età media degli iscritti da 46,1 a 47 anni. I più giovani manifestano una partecipazione alla previdenza complementare del 26,5% contro il 32,1% della fascia 35-44 anni, complici forse anche stipendi mediamente più bassi e, quindi, minori risorse da accantonare a fini previdenziali.

Da un punto di vista di genere, i 9,240 milioni di aderenti sono costituiti prevalentemente da uomini, che rappresentano il 61,8% degli iscritti rispetto al 38,2% delle donne, pesi rimasti invariati rispetto al 2018. La proporzione tra i generi si mantiene simile nelle diverse fasce di età, fatta eccezione per la classe che raggruppa gli iscritti con meno di 20 anni, formata soprattutto da familiari a carico, nella quale la platea femminile raggiunge il 45,5%. Numeri che, come già evidenziato anche per la previdenza pubblica, in parte riflettono la minor partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

A livello di aree geografiche, continuano a prevalere gli iscritti delle regioni settentrionali (57,1%), mentre nelle regioni centrali e in quelle meridionali e insulari risiede, rispettivamente, il 19,7% e il 23% degli iscritti, con una distribuzione che rispecchia, oltre alle scelte individuali, l’articolazione del tessuto produttivo e la struttura delle imprese nel Paese.

Le linee di investimento

Le scelte di investimento degli iscritti, confermano che per tutte le classi di età c’è la predilezione per un basso profilo di rischio/rendimento. Infatti, restano prevalenti i profili con una quota azionaria bassa o addirittura nulla, mentre i garantiti si confermano preminenti con il 38% degli iscritti. Nei profili bilanciati si colloca il 39,7% degli iscritti; più esiguo il peso degli azionari (9,2%).

Tuttavia, in rapporto alle nuove iscrizioni effettuate nel corso del 2022, emerge una maggiore preferenza per i profili di investimento più rischiosi: il 46% ha preferito profili bilanciati e il 16,4% azionari, mentre a quelli garantiti si è iscritto il 28,7% e ai profili obbligazionari il restante 8,9%. Dalla distribuzione degli iscritti per profilo di investimento ed età si osserva poi, a livello di sistema, una propensione maggiore per i profili azionari e bilanciati nelle classi di età molto giovani (fino a 29 anni); nelle fasce centrali (30-54 anni), dove si colloca la maggioranza degli aderenti, i profili a rischio più basso si mantengono su livelli tra il 45 e il 50%, di cui i tre quarti costituiti da garantiti, assumendo via via un peso predominante a partire dai 55 anni.
Bruno Bernasconi

fonte: itinerariprevidenziali.it