Il punto della Covip per il 2022, la previdenza complementare sempre in stallo se non in peggio

Proposte rituali per rilanciare le adesioni

Si è tenuta il 7 giugno a Roma presso la Camera dei Deputati la presentazione della Relazione annuale
sull’attività svolta dalla COVIP nel 2022.

Gli iscritti e le adesioni

A fine 2022, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, in crescita
del 5,4% rispetto all’anno precedente, (36,2% dei lavoratori).
I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5
milioni ai PIP “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.
Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti (il 73% nei fondi negoziali).
Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%).

Alla fine del 2022, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si
attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa
dell’andamento negativo dei mercati finanziari: un ammontare pari al 10,8% del PIL.

I contributi incassati nell’anno sono pari a circa 18,2 miliardi di euro. In tutte le forme
pensionistiche complementari il flusso di contributi del 2022 è risultato in crescita rispetto
al 2021: ne sono affluiti 6,1 miliardi ai fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi ai fondi aperti (+7,8%),
5 miliardi ai PIP (+2,4%) e 4,1 miliardi ai fondi preesistenti (+1,5%).
Gli iscritti che nell’anno 2022 hanno effettuato o comunque ricevuto contribuzioni sulle
proprie posizioni sono circa 6,7 milioni, pari a circa i tre quarti del totale. I loro contributi
ammontano mediamente a 2.770 euro.
Gli iscritti non versanti (o per i quali comunque non sono stati effettuati versamenti), pari
a circa 2,5 milioni, sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i
lavoratori autonomi. Una parte cospicua è però anche costituita da dipendenti iscritti
contrattualmente, come il settore edile.

Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le
prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,6 miliardi di euro e in rendita per
440 milioni di euro. I riscatti sono pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,3 miliardi di euro.
Nell’anno sono stati erogati circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate
(RITA), per lo più concentrati nei fondi pensione preesistenti.
Gli investimenti
LGli investimenti effettuati dai fondi pensione registra la prevalenza della quota in
obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio: il 15,4% sono
titoli del debito pubblico italiano.

Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana è di 35,5 miliardi di euro, pari al 20,9% dell’attivo, in calo sia in valore assoluto sia in termini percentuali rispetto al 2021.
Gli impieghi in titoli di imprese italiane rimangono contenuti, riflettendo anche le limitate
dimensioni del mercato azionario nazionale. Il totale di 4,1 miliardi è meno del 3% delle attività:
in obbligazioni sono investiti 2,6 miliardi, in azioni 1,5 miliardi; gli investimenti italiani si attestano a 1,8 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano pari a circa 2,8 miliardi.

I rendimenti e i costi

Le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione, tanto per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario quanto per quelle obbligazionarie.
I comparti azionari hanno registrato perdite in media pari all’11,7% nei fondi negoziali.
Di importo non molto inferiore sono anche le perdite subite nell’anno dai comparti obbligazionari.

Una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale non può tuttavia
limitarsi ai rendimenti di un solo anno, ma deve fare riferimento a orizzonti più lunghi.
Su un periodo di osservazione decennale (da fine 2012 a fine 2022), i rendimenti medi annui
composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di
forme pensionistiche, tra il 4,7% e il 4,9%. Viceversa, le linee obbligazionarie mostrano
rendimenti medi vicini allo zero.
Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche
i divari nei livelli di costo. Per i fondi pensione negoziali, su un orizzonte temporale di dieci
anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è pari allo 0,47%. Per i fondi pensione aperti,
esso è dell’1,35%. Per i PIP, lo stesso indicatore è in media del 2,17%.

Le prospettive

Per evitare l’aumento dell’ inflazionistiche le banche centrali hanno ripetutamento rialzato il tasso di sconto, concludendo la lunga fase di politiche monetarie più permissive.
Ne hanno risentito i mercati finanziari: i corsi dei titoli azionari hanno subìto pesanti ribassi così come quelli dei titoli obbligazionari per effetto del rialzo dei tassi di interesse nominali.
In questo scenario, il sistema italiano della previdenza complementare ha complessivamente mostrato una sostanziale resistenza. Le adesioni e le contribuzioni sono cresciute come negli anni precedenti e, pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e
sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del TFR.
E’ indubbio che c’è ancora una certa resistenza all’utilizzo della previdenza complementare.
La sostanziale stabilità delle nuove iscrizioni, conferma il fondamentale dualismo del sistema. Esso, infatti, accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese
ragionevolmente solide con un lavoro continuo. Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno più fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare.
D’altra parte, non può non tenersi conto dell’elevato livello di contribuzione al primo pilastro
pensionistico nel nostro Paese. Nel confronto internazionale, nei paesi dove la previdenza di
base ha un ruolo e una dimensione maggiore – misurata in termini di aliquote contributive
obbligatorie a fini previdenziali applicate sulla retribuzione da lavoro dipendente – il sistema
privato – misurato dall’attivo in percentuale del PIL – risulta tendenzialmente meno sviluppato;
viceversa, laddove il sistema pensionistico pubblico svolge un ruolo più circoscritto, il sistema
privato assume più spesso dimensioni significative.

Nelle prospettive di lungo periodo, tuttavia, è la demografia che si impone come principale fattore strutturale di condizionamento. Il nostro Paese è caratterizzato da un processo di invecchiamento tra i più rapidi a livello internazionale; tale tendenza è destinata a incidere sulle prospettive di crescita del Paese in termini di prodotto complessivo, che è anche alla base della rivalutazione nel tempo dei contributi versati alla
previdenza pubblica. Sono i giovani a rischiare di essere penalizzati, in quanto sono proprio tra le categorie di lavoratori che fanno più fatica ad iscriversi ai fondi pensione.
A fronte di tali tendenze vi sono tuttavia interventi che si possono adottare.
Andrebbe innanzitutto considerato il ruolo di interventi mirati sul sistema degli incentivi
all’adesione. L’innalzamento del limite di deducibilità appare strumento poco incisivo considerando che solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo (pari a 5.164,57 euro, quando invece il contributo medio è di 2.770 euro).
Andrebbe rivista la linea di default che accoglie gli iscritti silenti basandola sul
life-cycle, che sfrutti il lungo orizzonte temporale dell’investimento previdenziale tramite
un’esposizione iniziale più elevata nei titoli azionari, e una progressiva riduzione di tale esposizione via via che si avvicina il pensionamento.

Relazione per il 2022