L’emissione di coronabonds è la strada giusta per recuperare risorse sufficienti ad affrontare la crisi economica generata in tutta Europa dalla pandemia. Qui la proposta per un intervento adeguato e capace di superare le obiezioni dei paesi del Nord

Ciò che serve

L’emissione di Eurobond o Covid-bond, come suggerito da Francesco Giavazzi e Guido Tabellini, è secondo noi la strada giusta per mettere insieme risorse (forse) sufficienti ad affrontare la crisi economica che la pandemia da coronavirus sta generando in tutta l’Europa. Ma ci sono molte obiezioni, soprattutto da parte dei paesi del Nord Europa, che possono frenare o addirittura impedire che la soluzione giusta venga adottata nei tempi brevi che la situazione impone.

Senza entrare nel merito della legittimità politica ed etica delle obiezioni, crediamo che siano dovute a una sottovalutazione dell’entità e dei costi della pandemia e a una sopravvalutazione della capacità fiscale nazionale di farvi fronte. Il risultato è un grave azzardo morale che ricade sui propri cittadini e su quelli di tutta Europa: ogni paese che non sarà in grado di fronteggiare con ogni mezzo la crisi sanitaria ed economica costituirà una grave minaccia per sé e per gli altri.

Cosa non devono essere

Per superare le obiezioni proviamo a disegnare una proposta per l’emissione di Eurobond di dimensioni tali da fronteggiare efficacemente l’emergenza sanitaria ed economica in tutti i paesi e innescare la rinascita, creando allo stesso tempo quel safe asset di cui l’Europa e il suo sistema finanziario hanno disperatamente bisogno. Bene chiarire subito ciò che i Covid-bond per noi non sono e ciò che non fanno.

1) Non sono nuovi titoli del debito dei singoli stati.

2) Non sono neppure prestiti da parte del Meccanismo europeo di stabilità – che servono ad affrontare le eventuali crisi finanziarie di singoli stati, non un gigantesco shock comune come la pandemia da coronavirus. I fondi del Mes devono rimanere a disposizione per la loro finalità originaria, con la prevista condizionalità, soprattutto dopo che il picco della crisi pandemica sarà stato superato e i debiti degli stati saranno comunque cresciuti, come dicono anche Giavazzi e Tabellini.

3) Non mutualizzano i debiti esistenti dei vari stati: non c’è alcuna garanzia degli stati “virtuosi” sul debito pregresso dei paesi meno “virtuosi”.

4) Le risorse rivenienti dagli Eurobond che proponiamo non rappresentano trasferimenti né temporanei né permanenti da un paese all’altro.

La proposta

Per maggiore sintesi presenteremo la proposta per punti.

1) Qualsiasi emissione di Eurobond deve essere supportata da una garanzia. Pensiamo che la garanzia debba essere nuova e comune. Non deve intaccare il capitale degli stati, che oggi garantisce i debiti pubblici nazionali, e deve essere fornita dall’Unione Europea con una sua capacità fiscale dedicata. La forma può essere un fondo di scopo all’interno del bilancio comunitario.

2) Il fondo viene alimentato da un “contributo di cittadinanza” annuo proporzionale al numero dei cittadini adulti dell’Unione e pertanto pesa su ciascuno paese in modo assolutamente proporzionale alla sua popolazione adulta.

3) Il contributo di cittadinanza è calcolato moltiplicando 50 euro per ogni cittadino adulto (maggiore di 18 anni). Stimando che nell’Unione Europea gli adulti siano approssimativamente i cinque sesti della popolazione totale, il ricavato per l’Unione è di circa 18,5 miliardi di euro ogni anno. Per esempio, l’Italia contribuirebbe per 2,5 miliardi, la Germania per 3,46, la Francia per 2,8 miliardi, la Spagna per 1,9 miliardi e così via.

4) Questa capacità fiscale viene interamente utilizzata per garantire il pagamento degli interessi su Covid-bond a cedola fissa e senza scadenza (consols) o con scadenza molto lunga, comunque intergenerazionale (100 anni), come suggerito anche da Giavazzi e Tabellini.

5) Nel caso delle perpetuities, a un tasso di interesse dell’1 per cento sarebbe possibile emettere fino a 1.850 miliardi di Covid-bond, anche in diverse tranches. A un tasso del 2 per cento si potrebbero emettere fino a 925 miliardi.

6) Tassi di interesse e contributi potrebbero essere indicizzati qualora l’inflazione superasse il 2 per cento, in modo da garantire un rendimento reale sempre positivo.

7) La spesa delle risorse incassate grazie all’emissione di Covid-bond avverrebbe in base a un programma definito e controllato dalla Commissione, in proporzione alla popolazione adulta di ciascun paese. Sarebbero, circa 125 miliardi per l’Italia, 165 per la Germania, 139,5 per la Francia e oltre 97 per la Spagna, con un’emissione di 925 miliardi e il doppio per un’emissione di 1.850 miliardi.

8) Il contributo di ogni cittadino europeo verrebbe moltiplicato per 50 o 100 (a seconda del tasso di interesse) rendendo possibile una spesa “pro-capite” di 2500 euro. Un moltiplicatore molto elevato, che rende il piccolo sforzo fiscale un investimento straordinariamente redditizio.

I vantaggi

1) La garanzia fiscale e il rendimento reale garantito dai Covid-bond li rende safe asset, appetibili per banche e investitori istituzionali (assicurazioni, banche, fondi pensione) oltre che acquistabili dalla Banca centrale europea sul mercato secondario, nel pieno rispetto del suo mandato (nessun impossibile obbligo di acquisto all’emissione).

2) La garanzia sarebbe ancora più forte nel caso i paesi europei si accordassero per dare alla Commissione un vero e proprio potere impositivo, così da trasformare i contributi in “entrate proprie” dell’Unione. Ciò significherebbe l’avvio di una unione fiscale. Ma non è necessario partire subito con il vaste programme.

3) L’istituzione della nuova capacità fiscale dell’Unione sotto forma di contributi al bilancio europeo deve essere approvata dai parlamenti nazionali, mentre il conferimento di potere impositivo richiede una modifica del Trattato sull’Unione Europea.

4) Il fatto che il contributo di ciascun paese sia calcolato moltiplicando una cifra fissa (50 euro) per la sua popolazione adulta non implica che debba tradursi necessariamente in una tassa capitaria di cittadinanza europea (“poll tax”), sulla cui equità è lecito avere dubbi. La popolazione adulta è solo la “chiave” dello schema, allo scopo di fugare i dubbi su possibili trasferimenti tra stati.

5) Il costo fiscale annuo sarebbe dello 0,11 per cento del Pil 2019 della Ue, dello 0,13 per cento in Italia, dello 0,10 per cento in Germania, dello 0,11 per cento in Francia e dello 0,15 per cento in Spagna. Il beneficio dello schema in termini di spesa (con un tasso del 2 per cento) sarebbe pari al 6,64 per cento del Pil 2019 della Ue, del 7 per cento in Italia, del 4,80 in Germania, del 5,77 in Francia e del 7,8 in Spagna.

6) Il costo fiscale è molto piccolo e decrescente nel tempo, se il Pil reale crescerà nei prossimi anni, una volta usciti dalla recessione da pandemia.

7) Il costo fiscale dello schema, per ogni paese, è infinitamente inferiore a quello che avrebbe un piano puramente nazionale di analoga dimensione. Gli effetti positivi dal lato del finanziamento sono evidenti come lo sono – su scala ancora più grande – dal lato delle possibilità di spesa.

8) L’emissione di questi Eurobond può essere tecnicamente affidata a un veicolo come la Banca europea degli investimenti (Bei) o all’Efsm-European Financial Stabilization Mechanism , che ancora esiste ed è un’istituzione pienamente comunitaria.

L’utilizzo del Mes è più problematico: è un’istituzione intergovernativa su cui i parlamenti dei singoli stati hanno diritto di veto.

fonte: lavoce.info