Il 4 agosto 2016 l’Ufficio parlamentare di bilancio ha pubblicato il Focus n. 6 “Il dibattito sulla flessibilità pensionistica”
L’UpB è un organismo indipendente costituito nel 2014 con il compito di svolgere analisi e verifiche sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica del Governo e di valutare il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee. L’Upb contribuisce ad assicurare la trasparenza e l’affidabilità dei conti pubblici, al servizio del Parlamento e dei cittadin
Il Focus n. 6 fa il punto sul dibattito in corso per il reinserimento di margini di flessibilità nei requisiti di pensionamento fissati dalla riforma “Fornero” del 2011.
La riforma Fornero aveva l’obiettivo di mettere in equilibrio di lungo periodo il sistema pensionistico e contribuire al consolidamento fiscale. Il primo obiettivo richiedeva di far aumentare il tasso di occupazione nella fascia di età 55-64 anni, che in precedenza era tra i più bassi in Europa (circa 10 punti percentuali al di sotto della media dell’Area euro). Per effetto della riforma oggi il divario si è dimezzato (5 punti) ma è ancora rilevante.
L’aumento del tasso di occupazione nella fascia di età 55-64 si è però accompagnato (anche per effetto della crisi) a un declino del tasso di occupazione delle fasce di età più giovani (15-24 e 25-49 anni). Lo stesso  avvenne, seppure in proporzioni minori in occasione delle due precedenti riforme pensionistiche, la “Maroni” del 2004 e la “Prodi” del 2007. L’intensità di questi andamenti divergenti sembra essere una peculiarità italiana.
A ridosso di inasprimenti dei requisiti di pensionamento, si verifica un effetto di spiazzamento generazionale (crowding-out), tanto più forte quanto più ampi e repentini sono i cambiamenti e quanto meno il mercato del lavoro è disposto  a favorire disimpegni graduali dei lavoratori anziani. L’introduzione della flessibilità in uscita potrebbe concorrere non solo a ridurre gli effetti di spiazzamento intergenerazionale dei lavoratori anziani su quelli giovani ma anche a sostenere la produttività del lavoro e ad assicurare un maggior adattamento delle regole di pensionamento alle esigenze individuali.
 Nel recente dibattito sono emerse due proposte di flessibilità, la “Damiano” e la “Boeri”, che attualmente non sembrano essere all’ordine del giorno ma dalla cui analisi possono emergere indicazioni utili. Entrambe prevedono un canale di uscita aggiuntivo a quelli già esistenti, sulla base di uno “scambio” tra anticipazione del pensionamento rispetto ai normali requisiti e riduzione dell’importo della pensione. Nelle stime dell’UPB riferibili ai lavoratori dipendenti in senso stretto e ai lavoratori autonomi (esclusi i dipendenti pubblici), se tutti coloro che avessero l’opportunità di sfruttare la flessibilità effettivamente lo facessero, nel 2017 secondo la proposta “Damiano” ci sarebbe una maggiore spesa pubblica per oltre 3 miliardi di euro, crescente sino a raggiungere gli 8 miliardi nel 2024; la flessibilità “Boeri” peserebbe meno sui conti pubblici: da 650 milioni di euro del 2017 a 2,8 miliardi del 2024. Entrambe le proposte non sono neutrali da un punto di vista attuariale. Si ricorda che la neutralità attuariale presuppone equivalenza fra entrate contributive e spesa pensionistica.
Nella proposta governativa dell’APE (Anticipo Pensionistico) la flessibilità verrebbe finanziata con il ricorso a un prestito bancario che, una volta raggiunti i requisiti per la normale uscita per vecchiaia o anzianità, il pensionato ripagherebbe tramite trattenute alla fonte sulla sua pensione; questa opzione implicherebbe abbattimenti significativamente superiori rispetto a quelli delle proposte ”Damiano” (al massimo 2 per cento per anno di anticipo) e “Boeri” (3 per cento all’anno). Il progetto governativo contempla anche l’attivazione di una detrazione fiscale, selettiva nelle condizioni economiche, per sostenere alcune categorie di pensionati nella restituzione del prestito.
La restituzione che avverrebbe su un periodo di venti anni uguale per tutti i lavoratori, indipendentemente dall’età e dal genere, continua l’Upb nel dossier. In caso di premorienza, il rimborso alla banca del capitale residuo sarebbe coperto da una garanzia assicurativa sottoscritta contestualmente all’accensione del prestito bancario e pagata con premio mensile ricorrente, anch’esso trattenuto alla fonte sulla pensione. Entrambi i contratti − prestito bancario e copertura assicurativa − avrebbero natura privata, tra lavoratore e istituzioni finanziarie, e ogni lavoratore dovrebbe concluderli individualmente seppure nell’ambito di un protocollo predisposto dal Governo.
Presumibilmente, ricorda l’Upb, il protocollo tenterà di concordare tassi di interesse e premi assicurativi che tengano conto dei volumi della domanda, della interposizione dell’INPS a garanzia che le rate di rimborso e i premi assicurativi vengano sempre pagati, oltre che dei benefici di pooling che potrebbero emergere per le assicurazioni che offrissero il servizio a soggetti con età e caratteristiche individuali diverse.
• Oltre all’APE (nella (a) versione generale e (b) versione sussidiata), sono in discussione altri strumenti pro flessibilità, e in particolare (c) misure specifiche per i lavoratori precoci, gli usurati e quelli con storie contributive ripartite tra più gestioni pensionistiche, oltre a (d) un’ottava salvaguardia per gli esodati. Il coordinamento di questi quattro strumenti costituisce uno degli snodi critici dell’intervento.