Il 14 giugno 2021 si è tenuta a Roma presso la Camera dei Deputati la presentazione della Relazione annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2020 e sulla situazione dei settori di competenza. Oltre a illustrare lo stato dei settori vigilati (fondi pensione e casse di previdenza) – le cui risorse hanno complessivamente superato 290 miliardi di euro riguardando oltre dieci milioni di soggetti tra iscritti e pensionati – il Presidente della COVIP, Mario Padula, si è soffermato sulle prospettive evolutive di tali settori, anche alla luce dell’attuale situazione.
I FONDI PENSIONE
L’offerta
Alla fine del 2020, i fondi pensione in Italia sono 372: 33 fondi negoziali, 42 fondi aperti, 71 piani individuali pensionistici (PIP) e 226 fondi preesistenti. Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, quasi il doppio.
• Gli iscritti e le adesioni
A fine 2020, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 8,4 milioni, in crescita del 2,2% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 33% sul totale delle forze di lavoro. Le posizioni in essere sono 9,3 milioni (inclusive di posizioni doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto). I fondi negoziali contano 3,2 milioni di iscritti, quasi 1,6 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,3 milioni ai PIP “nuovi”; poco più di 600.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti. Gli uomini sono il 61,7% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 51,6% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 31% ha almeno 55 anni. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57 per cento).

Risorse, contributi e prestazioni
Alla fine del 2020, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 198 miliardi di euro, in aumento del 6,7% rispetto all’anno precedente: un ammontare pari al 12% del PIL e al 4,1% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.
Circa un milione di individui non versa contributi da almeno cinque anni. Su tale fenomeno, peraltro, incide in misura significativa il meccanismo delle adesioni contrattuali nei fondi negoziali, particolarmente con riguardo a settori, come quello edile, caratterizzati da elevata discontinuità occupazionale. Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 8,6 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 3,4 miliardi di euro e in rendita per circa 600 milioni di euro. I riscatti sono pari a 1,7 miliardi di euro e le anticipazioni a 1,8 miliardi di euro), in gran parte riferite a causali diverse dalle spese sanitarie o dall’acquisto o ristrutturazione della prima casa. Nell’anno sono state erogati circa 900 milioni di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più concentrate nei fondi pensione preesistenti.
L’allocazione degli investimenti
L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 56,1% del patrimonio. I depositi si attestano al 6,6%.
Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa il 2% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2019. Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 38,6 miliardi di euro, il 23,8% del patrimonio. I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore, 28,4 miliardi di euro. Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono marginali, seppure in leggera crescita, riflettendo anche la peculiare struttura del tessuto industriale italiano. Il totale di 4,6 miliardi è meno del 3 per cento del patrimonio: in obbligazioni sono investiti 3,2 miliardi, in azioni 1,4 miliardi; gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM si attestano a 2,1 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano pari a circa 3 miliardi.

I rendimenti e i costi
Dopo una prima parte dell’anno molto perturbata, in concomitanza con lo scoppio della pandemia, i mercati finanziari hanno fatto segnare un progressivo recupero supportato dalle iniziative di sostegno e di rilancio messe in atto da governi e banche centrali in tutto il mondo. Ne hanno beneficiato anche i rendimenti dei fondi pensione. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i fondi negoziali e i fondi aperti hanno guadagnato in media, rispettivamente, il 3,1 e il 2,9 per cento; per i PIP “nuovi” di ramo III, il risultato è stato lievemente negativo, pari a -0,2 per cento. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,4 per cento.
Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,2 per cento. Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. I PIP restano i prodotti più onerosi: su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è in media del 2,18 per cento (1,87 per cento per le gestioni separate di ramo I e 2,35 per le gestioni di ramo III). Si osserva inoltre una accentuata dispersione dei costi dei PIP offerti sul mercato. Si conferma, invece, la minore onerosità dei fondi pensione negoziali: sul medesimo orizzonte temporale, l’indicatore è dello 0,43 per cento. È dell’1,36 per cento per i fondi pensione aperti.