Il Pepp è servito. I piani pensionistici europei a breve operativi anche in Italia

Il Consiglio dei Ministri del 5 maggio 2022 ha approvato in via il Decreto Legislativo di attuazione del regolamento (UE) 2019/1238 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 sui prodotti pensionistici individuali paneuropei (PEPP).
Per la piena applicabilità ora si aspettano i previsti pareri delle Commissioni parlamentari che hanno 60 giorni di tempo per esprimersi. Ma ormai ci siamo.
Si chiamano Pepp, acronimo inglese che sta per «prodotti pensionistici individuali paneuropei» ed il loro cammino è iniziato nel giugno del 2017 su iniziativa della Commissione europea ed ora siamo agli ultimi passaggi per la piena operatività anche in Italia. Il nuovo prodotto previdenziale non crea un sistema unico di previdenza complementare per tutti i paesi membri, bensì crea uno standard comune ed una semplificazione per la trasferibilità delle singole posizioni all’interno dei vari Stati perchè è stato pensato soprattutto per venire incontro ai c.d. “mobile workers” ( lavoratori mobili), bisognosi di un prodotto pensionistico per costruirsi una pensione di scorta in modo semplice non ostacolato dagli spostamenti da un paese all’altro determinati prevalentemente per esigenze lavorative.
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I Pepp si affiancheranno alle forme di previdenza integrativa e professionali nazionali già esistenti.
Attualmente circa il 30% dei cittadini europei ha una pensione integrativa volontaria. Secondo una ricognizione effettuata dall’Eiopa (l’Authority Ue del settore con sede a Francoforte) il mercato europeo della previdenza privata è troppo polverizzato con regole molto differenti nel quale le compagnie di assicurazione hanno una quota maggioritaria. Secondo il Sole 24 ore, il valore degli asset investiti in fondi pensione varia a seconda dei Paesi: la forbice va da oltre il doppio del Pil in Danimarca (dove è in vigore un sistema misto, pubblico e privato), al 6,8% della Germania, passando per il 9,4% dell’Italia.
In sostanza si tratterebbe di una specie di PIP i piani pensionistici individuali
Con la differenza che ai Pepp non sarà possibile versare il Tfr, che è una forma di salario differito esistente solo in Italia che, se da una parte favorisce i lavoratori italiani dall’obbligo di conferire il trattamento di fine rapporto, dall’altro annulla la possibilità di ricevere contributi aggiuntivi dal datore di lavoro. Un altro problema e riguarda la durata minima di iscrizione per la maturazione dei requisiti pensionistici.
In Italia il diritto scatta quando si consegue il diritto alla pensione obbligatoria, a condizione di avere almeno cinque anni di iscrizione alla previdenza complementare. Nel caso dei Pepp, questi cinque anni sarebbero invece riferiti al sotto-conto nazionale. Sembra che ogni volta che un lavoratore si trasferisce, il conteggio dei 5 anni riparta da zero, che se fosse così costituirebbe una contraddizione palese rispetto agli scopi che si prefiggono i Pepp. Poi non sono ancora definiti del tutto gli aspetti relativi ai benefici fiscali.
Speriamo che il Decreto in corso di pubblicazione definirà in maniera puntuale queste criticità soprarilevate. In ogni caso è prevedibile che i Pepp faranno concorrenza ai prodotti italiani, anche se questi hanno generalmente costi minori e rendimenti maggiori.

Infografica dell’Eiopa