Conviene ancora la pensione integrativa dopo l’aumento dei tassi d’interesse?

Crollano i rendimenti dei fondi pensione con scenari catastrofici sul settore creditizio. Ora sono meno redditizi rispetto al Tfr lasciato in azienda ma è il mercato.

Dopo la crisi di Credit Suisse c’è un’altra minaccia che incombe sul sistema creditizio: quella dei fondi pensione. Il rapido aumento dei tassi d’interesse e il calo del mercato azionario causato dalle tensioni geopolitiche hanno portato a un crollo dei rendimenti dei fondi pensione, rimettendo in discussione la tanto sponsorizzata pensione integrativa. Se è vero che i futuri pensionati percepiranno dei mini assegni per colpa del passaggio dal sistema retributivo al contribuivo, è vero anche che la soluzione della pensione complementare sembra per il momento non funzionare.

Nel 2022 il Tfr (trattamento di fine rapporto) lasciato in azienda ha avuto una strepitosa rivalutazione grazie all’inflazione mentre le performance dei fondi pensione sono state negative. Il sorpasso del Tfr sui fondi pensione (purtroppo anche sul lungo periodo) rischia così di togliere liquidità alle banche, mandando in tilt il sistema e non solo quello. Nel frattempo i malpensanti ipotizzano che il governo voglia spingere nuovamente sulla previdenza complementare (sarà uno dei tasselli della riforma delle pensioni 2024) per coprire le perdite e ricostruire i patrimoni dei fondi pensione.

L’anno nero dei fondi pensione

Il 2022 è stato un anno critico per i fondi pensione, con rendimenti in calo del 9,8% per i fondi negoziali, del 10,7% per quelli aperti e dell’11,5% per i Piani individuali pensionistici (Pip) di ramo III. È quanto emerge dall’ultimo monitoraggio della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), che lega le performance negative dei fondi pensione agli strascichi della pandemia, alla guerra in Ucraina ma soprattutto al repentino aumento dei tassi d’interesse deciso dalla Bce per frenare l’inflazione.

E il Tfr lasciato in azienda? Si è rivalutato dell’8,3% rendendo meno competitiva la previdenza integrativa, almeno per il 2022. Ma allora lasciare il Tfr in azienda sembra la scelta migliore da fare.
Il Tfr è meglio dei fondi pensione?
La Covip ha calcolato i rendimenti a 10 anni, certificando così il sorpasso del Tfr sui fondi pensione anche nel lungo periodo. Da inizio 2013 a fine 2022 il rendimento medio annuo composto (al netto dei costi di gestione e della fiscalità) è stato pari al 2,2% per i fondi negoziali, al 2,5% per i fondi aperti, al 2,9% per i Pip di ramo III e al 2% per le gestioni di ramo I. Nello stesso periodo la rivalutazione del Tfr si è attestata al 2,4% annuo.

Fondi pensione: “Non bisogna considerare solo il rendimento”

Per il momento il rendimento del Tfr a 10 e 15 anni batte quello delle linee garantite e obbligazionarie. “Al di là del rendimento c’è da considerare anche che versando in un fondo di categoria si ha diritto al contributo datoriale che può compensare in parte la minor performance dei fondi pensione rispetto al Tfr lasciato in azienda.

Chi sceglie la previdenza integrativa, poi, gode di particolari vantaggi fiscali. La tassazione del Tfr lasciato in azienda, infatti, è molto più alta rispetto alla tassazione che si avrebbe versando il Tfr nel fondo pensione. Inoltre, i contributi volontari e datoriali versati alle forme pensionistiche complementari sono deducibili dal reddito Irpef fino a un limite massimo fissato dalla legge: 5.164,57 euro all’anno.
Tfr in azienda o fondi pensione: cosa scegliere.
Per un giovane lavoratore che ha davanti a sé un orizzonte lungo di lavoro si consiglia il fondo pensione, di categoria per beneficiare del contributo datoriale. Invece per una persona che al momento ha il Tfr in azienda ed è a pochi anni dal pensionamento, considerando l’inflazione attuale, si consiglia di lasciarlo in azienda.

La cosa fondamentale per i risparmiatori però è capire quale sarà il gap al pensionamento, perché è in funzione di quello che si decide quanto bisognerà accantonare per avere adeguate risorse nel momento in cui si esce dal mondo del lavoro”.

fonte: today.it